L’amicizia che mi lega all’ex partigiano Fortunato Menichetti inizia nell’estate del 2017 quando, insieme al regista Franco Galimberti, mi interessai alla realizzazione di un video documentario che raccontasse la Resistenza in Versilia con riprese sui luoghi delle stragi fasciste. Fortunato, nato il 27 maggio 1924, è uno degli ultimi reduci di quella storica esperienza e, malgrado l’età, sposò di buon grado il progetto e nella sua casa a Torre del Lago, frazione di Viareggio, ci raccontò le sue avventure sulle Alpi Apuane durante l’invasione nazista.
Per Fortunato Menichetti, Nato per gli amici, la più grande passione della vecchiaia, dopo una vita passata a fare il fotografo, è andare a far visita ai ragazzi nelle scuole del suo territorio a diffondere i valori della Resistenza e far comprendere ai più giovani l’importanza della memoria.
Negli ultimi anni Menichetti ha messo per iscritto i ricordi sulla sua attività da partigiano, esperienza compiuta all’età di 20 anni. Ne è nato il “Diario del Nonno Partigiano”, soprannome col quale Fortunato è ormai conosciuto universalmente, libro ristampato in ben sei edizioni che lo ha fatto apprezzare anche fuori dai confini toscani. Tra le sue produzioni letterarie trovano posto anche un volume monografico sull’artista Antonio D’Arliano e un testo che narra il suo forte legame d’amicizia col Presidente della Repubblica Sandro Pertini.

In occasione del suo 96esimo compleanno, Menichetti si è prestato a ripercorrere per Radioeco i punti centrali della sua carriera come oppositore al nazi-fascismo nel lontano 1944.
Un ringraziamento a Rinaldo Serra per le immagini.

- Auguri innanzitutto! Come passerai questo giorno importante?
“Grazie! La mia idea è finalmente poter uscire di casa e andare al monumento ai caduti di Mulina di Stazzema per depositare un mazzo di fiori in omaggio al mio salvatore don Fiore Menguzzo, un prete straordinario che salvò me e la mia famiglia dai rastrellamenti nazisti.”
- Sei molto legato al questa figura e a Mulina. Che periodo era quello per te?
“Non felice purtroppo. Avendo dei parenti antifascisti emigrati negli Stati Uniti e una storia familiare di opposizione al regime, per noi Menichetti la vita non era facile. Dopo aver iniziato la leva militare, io e un mio amico approfittammo di un bombardamento alleato a La Spezia per fuggire in sordina dai gerarchi fascisti e tornare dai miei a Torre del Lago. Una volta arrivati si dovette scappare sui monti per evitare rappresaglie pericolose. Dopo una nottata di cammino ci rifugiammo in alcune stalle a Mulina di Stazzema sotto la protezione del giovane parroco locale, il 23enne Fiore Menguzzo. Più volte ci avvertì in tempo dell’arrivo di squadre nazi-fasciste e ci diede il tempo di nasconderci sui monti durante i loro sopralluoghi allo scopo di trovare ribelli e ucciderli.”
- Quando hai deciso di arruolarti coi partigiani?
“Avvenne nel maggio 1944 ma fu un’entrata abbastanza rocambolesca e devo partire da un tragico avvenimento. Pochi giorni prima, nei pressi del paesino di Farnocchia, era stato sepolto vivo a testa in giù dai nazisti un giovane partigiano di nome Luigi Mulargia e l’ordine era di non avvicinarsi al corpo del ragazzo, pena terribili rappresaglie verso i civili. Appena i tedeschi se ne furono andati, diversi partigiani corsero a disseppellire il corpo e il giorno dopo celebrarono il funerale. La sfortuna mia e di un mio amico fu di trovarci nella chiesetta di Farnocchia proprio durante la funzione alla ricerca di partigiani a cui chiedere informazioni per poterci arruolare. Purtroppo quelli presenti ci scambiarono per spie mandate dai nazisti.”
- Come va la cavaste?
“Due partigiani molto burberi, di cui uno con un marcato accento spezzino, ci costrinsero a uscire dalla chiesa senza far rumore con una pistola puntata alla schiena. Il mio amico Salvatore Giovannoni si mise a piangere ma i due, sicuri com’erano della nostra colpevolezza, volevano ucciderci per intascare onori e medaglie. Non so cosa li spinse a portarci vivi al loro comando, situato nella zona montana delle Mandrie; forse volevano farsi belli con la cattura di due nemici! Dopo aver percorso buona parte di un lungo sentiero bendati, al suono di un fischio ci fecero entrare dentro un nascondiglio. Era quello della compagnia guidata da Aldo Berti, detto Lalle. Per fortuna tra i partigiani trovammo un viareggino, un tale Sirio Bacci, che mi riconobbe perchè prima dello sfollamento lo avevo fotografato con la ragazza. Ci salvò la sua “raccomandazione” e quei due ci rilasciarono. A quel punto espressi a Lalle la mia intenzione di diventare combattente nella Resistenza e lui accettò. A 20 anni ero entrato nella X Brigata Garibaldi.”
- Quando avvenne il tuo primo scontro coi nazisti?
“Fu un battesimo di fuoco perchè io e i miei compagni, tutti ventenni capitanati da Giorgio Lanè, fummo attaccati a tradimento da italiani repubblichini vestiti da nazisti accompagnati da veri tedeschi. Gli italiani locali, che conoscevano bene quei monti, non si fecero scrupoli a indicare alle SS i sentieri migliori per arrivare al nostro rifugio, la Casina Bianca sul Monte Ornato. Era il 30 luglio 1944 e in un batter d’occhio ci trovammo circondati da mitraglie naziste che miravano a tutte le porte e a tutte le finestre. Eravamo disperati ma, nei momenti di maggior crisi, emerge anche la volontà di sopravvivere. Raccolte tutte le armi che avevamo a disposizione, iniziammo a lanciare di tutto e di più al di fuori della Casina facendo sembrare venti partigiani un centinaio. Bombe a mano, colpi di fucile e pistola, fumogeni, uno scontro armato in piena regola insomma. Spaventati da tanto rumore, i nazi-fascisti arretrarono e ci diedero la possibilità di uscire dal rifugio e scendere non visti a valle.”
- Finì bene dunque…
“Non proprio in verità. Mentre scendevamo da Monte Ornato un nostro giovane compagno, Italo Evangelisti, venne trafitto nel ventre da una pallottola Mauser tedesca e si accasciò tra le mie braccia. Lanè ci disse di portarlo a valle per poterlo curare ma durante il viaggio morì. Ricordo ancora le sue ultime parole e la promessa che gli feci di riportare il suo portafoglio a Capriglia dalla moglie e dalla giovanissima figlia. Promessa più che mantenuta.”

Il portafoglio di Evangelisti con il foro della pallottola nazista
- Durante la strage di Sant’Anna di Stazzema ti trovavi a Lucese. Cosa vedesti una volta tornato sui monti?
“Uno spettacolo terribile. Occorre però ricordare che noi combattenti non eravamo più sulle Apuane perchè fummo richiamati nelle città dalle forze alleate. I monti erano sgombri di partigiani. I tedeschi ne approfittarono e, dopo aver dato alle fiamme Farnocchia l’8 agosto, pochi giorni dopo pensarono di vendicarsi trucidando 560 persone a Sant’Anna, soprattutto donne e bambini. Non fu una rappresaglia ma un puro atto intimidatorio dei nazisti per rompere ogni collegamento tra civili e partigiani. Saputa la tragedia mi precipitai con qualche compagno a vedere cosa era successo e sul sagrato della chiesa assistemmo all’abominio compiuto da quei criminali. Corpi irriconoscibili che ancora fumavano e carcasse di panche che devono esser servite come brace per il rogo. Uno scenario veramente apocalittico.”
- Quando finì per te la guerra?
“Dopo la strage del Cinquale del 22 ottobre 1944. Per rimediare la pagnotta, con mio padre deportato in Germania, pensai di tornare a combattere insieme agli americani. Ci trovavamo al comando di Villa Bertelli a Forte dei Marmi, nei pressi della linea gotica sul fiume Cinquale. Una formazione di partigiani guidata da un certo Ivan Montuori venne inviata dagli alleati nel bosco vicino al fiume per assicurarsi che non ci fossero più nazisti. Purtroppo così non accadde. I partigiani vennero circondati da un vero plotone d’esecuzione tedesco che scaricò contro di loro tutta l’artiglieria. Saputo dell’avvenimento ci precipitammo a soccorrere i feriti e a portar via i morti e li stendemmo nella sala da pranzo della Pensione Regina, dove poche ore prima avevamo festeggiato insieme la fine della guerra.”
- Cosa ti ha spinto a raccontare la tua esperienza a giro per le scuole di mezza Toscana?
“La speranza che quello che ho vissuto io non si ripeta più. Nonostante l’età, è da oltre vent’anni che visito le scolaresche, dalle elementari ai licei, per narrare loro gli orrori della guerra e i sacrifici che migliaia di partigiani, talvolta coetanei dei miei ascoltatori, hanno compiuto in nome della libertà e del proprio Paese. Soltanto questo maledetto virus mi ha impedito di continuare la mia opera di divulgazione ma spero vivamente di poter riprendere quanto prima i miei viaggi in un’Italia che ha saputo sconfiggere la malattia come 75 anni fa seppe abbattere il virus del fascismo!”
Di seguito un‘inedita video intervista realizzata per l’occasione:
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Autore: Tommaso Lucchesi
Appassionato di storia e di storie, adoro parlare di cultura, cinema e politica. Spero di rendere un lavoro quello di cui amo scrivere. A Radioeco dal 2019.