
“Lindbergh ce l’ha fatta!” titola a caratteri cubitali il New York Times che dedica la prima pagina del 22 maggio 1927 al venticinquenne americano più famoso del mondo, eroe di una nazione per una notte e paladino della modernità per sempre.
La sera prima un giovane pilota di Detroit, Charles Lindbergh, classe 1902, era atterrato a Parigi con il suo monoplano leggero “Spirit of Saint Louis” dopo la bellezza di 33 ore e 32 minuti di trasvolata ininterrotta tra l’America e l’Europa, il primo a riuscire in una simile impresa. L’unicità di Lindbergh sta nell’aver compiuto il volo transatlantico in totale solitaria e tra due tratti notevolmente più distanti rispetto alla precedente esperienza degli inglesi John Alcock e Arthur Witten Brown, autori di una traversata senza scalo dell’Oceano Atlantico decisamente più breve, nel 1919.
Lindbergh, partito alle 7.52 del 20 maggio dal Roosevelt Field, vicino New York, dopo aver percorso 5860 km senza soste, atterrò al Champs de Le Bourget presso Parigi intorno alle 22.24 del 21 maggio, scatenando l’entusiasmo del vecchio e del nuovo continente. In poco più di un giorno le gesta del giovane ingegnere e pilota postale di origini svedesi riuscirono a far impennare la Borsa di Wall Street, ad illuminare per la prima volta tutta la Francia e squarciare il buio della notte e a far esplodere un clima di generale euforia che coronò gli anni ruggenti prima della grande crisi del 1929. L’evento venne applaudito in tutto il mondo come un’impresa senza precedenti e il giovane fu premiato con la medaglia d’onore, con la Distinguished Flying Cross dal presidente degli Usa Calvin Coolidge e con la Legion d’onore dal governo francese. Nello stesso anno venne eletto “Man of the year”dalla rivista Time.
Tra gli aneddoti più curiosi sul volo, si racconta che per ridurre al minimo i pesi a bordo, Lindbergh rinunciò alla radio ricetrasmittente per portarsi un thermos di caffè. Inoltre, in quanto massone, il pilota portò con sè la bandiera della sua Loggia “Keystone Lodge n. 243” di Saint-Luois in Missouri.
Non solo glorie e onori nella vita di Lindbergh. Ancora molto giovane, l’aviatore subì una rapidissima maturità, un successo mediatico impressionante ed una responsabilità nazionale non da poco che lo resero una persona infelice e tormentata.
Una fama esasperata ed indesiderata lo costrinse presto a fuggire alla ricerca di una libertà che soltanto il cielo riusciva a dargli. Un effetto collaterale dell’eccessiva attenzione dell’opinione pubblica mondiale e la conseguente messa a nudo della sua intimità, affettiva quanto economica, fu alla base del rapimento del suo primo figlio Charles August di appena due anni, avvenuto il 1° marzo 1932 dalla sua casa di campagna nel New Jersey.
Il caso ebbe risonanza internazionale non solo per aver coinvolto uno dei personaggi più amati al mondo ma anche per le singolari e macabre circostanze con cui si chiuse il caso. Nonostante il pagamento del riscatto di 50.000 dollari, il bambino non venne restituito alla coppia ma anzi il 12 maggio venne ritrovato morto in un boschetto a poche miglia di distanza dalla residenza dell’aviatore. Il tragico evento di cronaca nera indignò il globo intero e si scatenò una vera caccia all’infanticida, conclusa con l’arresto dell’immigrato tedesco ed ex carcerato Bruno Hauptmann che, ritenuto colpevole dal tribunale della contea di Hunterdon, fu giustiziato sulla sedia elettrica il 3 aprile 1936.
A difesa della propria privacy, Charles con la moglie e i due figli piccoli si trasferì in Europa fino al 1939, lontani dalle luci degli opprimenti riflettori americani.

Non fu solo un gravissimo lutto in famiglia ad aumentare le tenebre sulla vita di Lindbergh. Infatti poco prima dell’entrata in guerra degli Stati Uniti, il pilota aveva apertamente manifestato la sua opposizione al coinvolgimento dell’America in un conflitto volto a difendere “la razza ebraica”, giudicata da Lindbergh la causa scatenante del conflitto europeo.
Palesi erano infatti le simpatie che “il re dei cieli” provava per la Germania nazista, conosciuta durante varie visite effettuate per avere informazioni sugli sviluppi dell’aeronautica tedesca. Assistette alle Olimpiadi di Berlino del 1936 e poco dopo scrisse una lettera ad un amico descrivendo Hitler come “un grand’uomo che ha fatto tanto per il popolo tedesco”; inoltre, durante una cena all’ambasciata americana di Berlino nel 1938, ricevette la Croce di Servizio dell’Ordine dell’Aquila tedesca su iniziativa dello stesso Fuhrer.
A guerra scoppiata, Lindbergh rimase fermo sulle sue posizioni filo naziste e nel 1940 a Yale pronunciò un discorso che condannava le intenzioni interventiste del presidente Roosevelt. Anche sotto la pressione del capo della Casa Bianca, Lindbergh rifiutò di restituire la medaglia ricevuta da Hitler e si dimise da colonnello dell’aeronautica americana. Dopo Pearl Harbor anche gli Usa entrarono in guerra e l’ex eroe nazionale tentò invano di farsi reinserire nell’apparato militare, ma senza successo. Solo più tardi trovò lavoro come consulente al programma di sviluppo dei bombardieri Ford.
Gradualmente riuscì a riacquistare posizioni di potere all’interno dell’esercito statunitense e passò da fare l’istruttore dei piloti della Marina ad abbattere un aereo d’attacco giapponese in mezzo al Pacifico. Al termine del conflitto tornò ad occuparsi di ricerche per la United Aircraft, fino alla morte avvenuta nelle Hawaii nel 1974 a 72 anni.
Una figura sicuramente controversa, figlio del positivismo tecnologico degli anni ’20 ma fiero difensore delle idee totalitarie e razziste di un potere agli opposti rispetto al sistema democratico americano di cui era diventato negli anni, paradossalmente, uno dei simboli. Una storia degna di un dramma, fatta di dolori e glorie, luci abbacinanti e ombre lunghe, con protagonista un personaggio che senza dubbio ha incarnato al meglio le mille personalità di un secolo come il Novecento.
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Autore: Tommaso Lucchesi
Fogato di storia e di storie, studio il Novecento a Firenze dopo tre anni di Comunicazione a Pisa. Politica, cinema, fumetti e musica sono le mie passioni e nella vita punto a fare della scrittura il mio lavoro. A Radioeco dal 2019.