Eravamo partite come un podcast e ora ci troviamo ogni settimana a mettere in ordine i nostri pensieri sui dischi in modo obbligatoriamente ordinato.
Vi ho parlato dei Moderat ormai un mese fa, dimenticando anche tutto un discorso sull’elettronica che magari farò un altro giorno; un ascolto sicuramente più recente rispetto a ciò che vi proporrò oggi.
Credo che un po’ per tutti la musica sia la colonna sonora di legami creati o di certi momenti vissuti; il momento della mia infanzia l’ho passata quasi tutto con Breakfast in America dei Supertramp.

Chi sono?
Sono sempre stata delusa dalla scarsa risonanza che hanno avuto i Supertramp nel mondo della musica, ma riesco a spiegarmela col fatto che non si sono mai collocati in una definizione precisa di genere.
Per iniziare, un debutto melodico e delicato con l’album eponimo datato 1970: fallimentare dal punto di vista delle vendite (addirittura disastrose con il secondo), di cui però consiglio l’ascolto anche solo per raggiungere l’acme Try again, la traccia più camaleontica e prog dell’album. È d’obbligo un paragone però con The Knife (Genesis, Trespass) non per sminuire, semmai per cercare di dare un quadro generale: entrambi sono lavori del 1970, ma The Knife non fugge dalla mente perchè quell’aria di ricerca di suoni e di bruschi arresti è coerente e ben studiata dai Genesis: quando si cambia motivo, lo si fa sicuri di un arricchimento e di una tensione retribuita.

I ragazzi di Londra la luce la vedono solo dopo, con il terzo album Crime of The Century: un ottimo lavoro che inizia con School, testimonianza di un sistema scolastico che rischia di omologare, sacrificando la sana creatività presente in ogni bambino e che si conclude con Crime of the Century stessa, di una solennità mostruosa. Dietro un crimine c’è sempre un colpevole e ad essere indagata e svelata è la crudeltà umana e l’indifferenza con cui si tratta il mondo, tutto condito con sonorità che ricordano molto i Pink Floyd (1:25, lo sento solo io?).
Il vero colpo di scena della canzone è che nessuno di noi può dirsi escluso da questo terribile meccanismo, che tutti potremmo essere men of lust, greed and glory.
Ok, non era necessario parlarvi di Crime of The Century e rendere questo articolo ancora più lungo, ma tutto ha un fine e il motivo è che sta per arrivare la parte pesante.
I Supertramp si sostengono su due pilastri: Roger Hodgson e Rick Davies che come nelle migliori storie si odiavano. Le canzoni erano elaborate molto spesso singolarmente (anche per questo l’idea che Crime of the Century sia un concept album è proprio lontana). I litigi e le rivendicazioni sulla proprietà di certe canzoni si sono susseguiti frequentemente, lasciandomi una consapevolezza sul loro modo di fare musica che avrei preferito non avere.
Il mancato senso di coesione passa sicuramente dalle insanabili differenze caratteriali: come possono lavorare insieme un uomo molto spirituale e con un libero approccio alle droghe con un ateo dal comportamento ferreo e pragmatico?
Basti pensare al finale di Breakfast con dissing veri in cui Roger scrive: You try to make me feel so small, until there’s nothing left at all / Imagination’s all I had, but even then you say it’s bad.
Perché ho scelto l’album?
Dopo tutto questo excursus, vi ricordo che siamo qui per l’album Breakfast In America (1979).
Per me, Breakfast è la linea sottile che divide casa mia (quella in Puglia) dal mare: non c’era bisogno di parlare in macchina quando c’era quella cassetta inserita, anzi io probabilmente non parlavo proprio.
A fronte di tutto il cumulato di musica triste che ascolto oggi, quei 45 minuti tanto attesi la domenica per recarmi qui erano per me la cosa più vicina alla spensieratezza.
È una scelta obbligata, di cuore e anche molto pop (mio padre era l’unico fissato? Non credo) anche se, come nelle migliori storie, tutte quelle cassette ripetutamente abusate e consumate (sì, c’erano anche i Genesis post Peter Gabriel) ora non esistono più.
L’album:
Per loro certamente Breakfast in America ha avuto un solo significato: la consacrazione nell’ambiente pop.
20 milioni di copie vendute nel 1979, tutte rette da un mix letale: piano elettrico, sax e falsetto di Roger Hodgson.
Si inizia bene con il drama di Gone Hollywood: i Supertramp sono inglesi e si trasferiscono in America già da Crisis? What Crisis? alla ricerca di una legittimazione nell’ambiente americano che sarebbe stata il massimo, dopo tutti quei feedback tiepidi sui loro precedenti lavori.
La copertina è una delle più famose nella storia della musica, complice anche una teoria del complotto (che si può trovare facilmente su internet): fuori da un oblò, si vede la cameriera Libby che tiene in mano un bicchiere di aranciata, dietro lo skyline di New York.

Oltre che per il successo desiderato, l’America risalta come il simbolo del divertimento, che passa anche in incontri occasionali, mai accompagnati da rimorsi (Goodbye Stranger e Breakfast in America).
In queste dinamiche, trova spazio anche uno dei singoli più famosi dell’album. The Logical Song è la track più malinconica (sì, all’inizio si sentono le nacchere). Potrebbe essere uno sviluppo del concetto iniziato con School: le domande su chi siamo, sull’educazione impartita e sulle impressioni degli altri si fondono in un grido disperato (quello di Hodgson) che sale sempre più sulle note del piano e del sax.
”But at night, when all the world’s asleep, the questions run so deep for a simple man”
The Logical Song – Supertramp
Take the Long Way Home è sicuramente la canzone da non ascoltare in quarantena, ma che conferma quest’album perfetto per un roadtrip. Traccia dopo traccia, i toni si fanno sempre più riflessivi, anche con Lord its Mine.
When everything’s dark
And nothing seems right
There’s nothing to win
And there’s no need to fight
I never cease to wonder at the cruelty of this land
But it seems a time of sadness is a time to understand
Is it mine?
Oh Lord is it mine?
Lord its Mine – Supertramp
Ma la vera perla è Child of Vision, la chiusura degna ed epica di un album importante. Anzi un capolavoro, la mia preferita sopra tutte.
Mi accorgo sempre più che buona parte del gioco sta anche nel sapere come chiudere un album: il primo esempio che mi viene in mente è Contact dei Daft Punk; RAM è un album portentoso già di per sè, ma tutto quel crescendo esagerato, così come in Child of Vision, mette i brividi.
Qui, in sette minuti e trenta secondi si intervallano grida di uno verso l’altro (You gave me Coca Cola, you said it tasted good, probabile riferimento alle droghe assunte da Roger), un coro che con molta enfasi sottolinea quanto siano distanti i due e poi la musica che si prende i suoi spazi e fa tutto da sola, al confine tra il tragico e il drammatico.
Probabilmente mi sono già pentita di aver parlato di quest’album (l’alternativa era qualcosa che potrei descrivere come alternative hip hop, quindi non so come vi è andata) e devo confessare come io sia assolutamente imparziale non riuscendo a vedere il difetto e l’inganno sonoro, nè l’incoerenza nonostante le varie frastagliature.
Lo trovo perfettamente umano e mi piace così come è. Mi piace ascoltare un sacco di altra roba e poi una volta al mese ritornare al nido, qui, in Breakfast in America.
Centellinare l’ascolto per la paura di perdere la magia.
Cosa ne pensa Alessandra?
Con questo album ho spezzato sicuramente il mood dei miei ascolti a questo punto della quarantena, ormai caduti in una spirale di folk contemplativo. L’album invece è esuberante e carico, ogni nota ha saputo coinvolgermi e stimolarmi, e alcuni brani mi hanno fatto dire “ma questo lo conosco già”. Si sono poi rivelate le track che ho apprezzato di più: classici come The Logical Song, Breakfast in America e Goodbye Stranger. Il disco pone alcune domande a me care a cui la musica dei nostri giorni ancora non ha risposto, fra tutte perché il mito di L. A. e Hollywood crollano sempre una volta raggiunti, di cui avevamo già parlato. L’album funziona benissimo e si fa apprezzare, ma è grazie a questo articolo che sono stata in grado di affezionarmici. Ora possiede tutto il fascino lo-fi e nostalgico che le cassette hanno per la nostra generazione, che siano le “mille e una fiaba” o quella che ascoltavamo nella strada dalla casa alla piscina (che schifo la Lombardia). Mia mamma aveva sempre su una raccolta dei Matia Bazar con Antonella Ruggiero. Che mi abbia traumatizzato nel lungo termine? Molto probabilmente. Comunque, andatevi a sentire i Supertramp che poi li cantiamo sul bus per Marina di Pisa.

Autrice Giulia Greco
Avevo molte idee su una mia eventuale bio, tutte annotate sul cellulare. Poi è successo che a ottobre dell’anno scorso ho dimenticato proprio il cellulare sul treno. Comunque, con Radioeco dal 2019.