2016, Oklahoma, Stati Uniti. Joe Exotic sta registrando un video per la campagna presidenziale in una gabbia con le tigri.
Un ligre, incrocio artificiale tra tigre e leone, gli girella intorno, ogni tanto gli dà qualche zampata al piede, ma Joe lo scansa. Ha appena citato uno dei suoi avversari, un certo Donald Trump, quando il ligre gli afferra la caviglia strusciandovisi contro. Joe inizia a imprecare e sferrare colpi con la stampella che si porta dietro, ma il ligre persiste, lo fa cadere e lo trascina via.
«Si era fissato con le sue scarpe» ride la voce fuoricampo di Jeff Lowe, ex socio in affari di Joe, mentre la videocamera continua a riprendere Joe insultare l’animale e alla fine liberarsi tirando un paio di colpi di pistola.
«I’m gonna shoot you right between your fucking eyes bitch» sottolinea Joe, con voce nasale, l’accento che più americano di così si muore.
Più tardi si lamenterà che nessuno era andato a salvarlo, anzi, l’avevano sabotato, qualcuno gli aveva messo appositamente dell’acqua di colonia sulle scarpe perché i felini lo attaccassero.
«Se qualcuno avesse voluto ucciderlo» commenta dalla sua casa in Florida Carole Baskin, arcinemica di Joe, «avrebbe messo… dell’olio di sardine sulle scarpe, qualcosa che le tigri vogliano mangiare, non un semplice profumo. Un profumo fa solo venir loro voglia di strusciarsi» conclude con una risata, mimando l’espressione di una tigre drogata, e facendo oscillare la sua coroncina di fiori.
Questi due minuti scarsi di riprese riassumono l’intero Tiger King: un docu-reality che vede Joe Exotic, un incrocio tra cowboy e star anni ’80, con molteplici mariti, fucili e un mullet biondo platino, alle prese con progetti assurdi, misteri, altri personaggi incredibili e, sullo sfondo, gli animali.
Tiger King, complice il lockdown, ha conquistato gli Stati Uniti: è qualcosa di abbastanza inconcepibile ed eccentrico da attirare su di sé tutta l’attenzione che abbiamo bisogno di distogliere dal coronavirus. Ma forse il successo sarebbe arrivato in ogni caso, perché come immaginava il co-regista Eric Goode, animali, sesso e pistole sono una combinazione incendiaria.
Anche nei documentari è possibile una certa licenza artistica: alcune parti della storia possono essere enfatizzate per catturare maggiormente il pubblico e alla fine sensibilizzarlo sul tema centrale. Il fatto è che se Tiger King ha mai avuto l’ambizione di essere un documentario sulla condizione dei grandi felini negli Stati Uniti, ha smesso di esserlo il secondo in cui ha deciso di seguire Joe Exotic.
All’apice della sua carriera, Joe Maldonado-Passage aveva uno degli zoo privati più grandi degli Stati Uniti. Ogni giorno la gente ne attraversava i cancelli e ammirava più di una cinquantina di specie esotiche: orsi, scimmie, alligatori, rapaci e soprattutto più di 200 grandi felini.
Le tigri erano il piatto forte dello G.W. Zoo. I visitatori potevano accarezzare i cuccioli, farsi le foto con loro. Per qualche centinaio di dollari, potevano tornare a casa con “l’emozione di una vita” e “contribuire alla conservazione della specie.”
Peccato che non fosse così.

In natura si contano meno di 4.000 tigri in tutto il mondo. Solo negli Stati Uniti, tra zoo privati e giardini sul retro, si stima ce ne siano tra le 5.000 e 10.000. Purtroppo non è una buona notizia, perché nessuno di questi esemplari in cattività può contribuire alla ripresa delle popolazioni selvatiche.
Primo, perché i privati non sono sottoposti a norme d’allevamento e incrociano sottospecie diverse, generando delle tigri “generiche” di valore conservazionistico nullo, dal momento che reintrodotte in natura non possiederebbero gli adattamenti che permettevano ad ogni sottospecie di sopravvivere nel proprio habitat: muoiono più velocemente, con meno successo riproduttivo e alla lunga indebolendo la specie.
Secondo, perché in cattività i cuccioli vengono immediatamente tolti alla madre per crescerli a contatto con l’uomo e creare la confidenza necessaria al contatto coi visitatori. Questo implica, oltre a un trauma sia per la madre che i piccoli, l’impedimento del passaggio di conoscenze da genitore a figlio, rendendo i cuccioli incapaci di cacciare prede selvatiche e quindi sopravvivere in natura. Alcuni propongono addestramenti ad hoc, ma questo porterebbe al rilascio in natura di felini comunque abituati all’uomo, che non esiterebbero ad avvicinarsi a villaggi o fattorie, con conseguenze devastanti.
Tiger King, però, non accenna a niente di tutto questo. Osserviamo semplicemente Joe Exotic aspettare che la tigre partorisca, recuperare il cucciolo appena nato trascinandolo nel fango con un bastone infilato nella recinzione e portarselo in casa. «Gesù quant’è piccolo» commenta. «Non smette di frignare un secondo!» E poi basta, si torna alla colorata vita di Joe, le sue canzoni country, gli spari, l’internet show.

Il successo della serie non ha niente a che vedere con la conservazione e tutto col suo vero cuore pulsante: la faida tra Joe Exotic e Carole Baskin.
Carole Baskin è la fondatrice di Big Cat Rescue, un rifugio in cui si prende cura di tigri e leoni abbandonati o sottratti da zoo privati. Il suo attivismo, come la pressione per far approvare il Big Cat Public Safety Act, proposta di legge che vieterebbe ai privati di possedere grandi felini, l’ha naturalmente portata in netta contrapposizione a Joe Exotic, e tra i due è nata una rivalità estremamente sentita, specialmente da Joe. I manichini ritraenti la donna che Joe trivella di colpi gridando «This is for you, Carole!» non si contano. Pacchi carichi di serpenti vivi spediti per compleanno, l’esposizione di un barattolo sulla sua scrivania in cui aspetta di infilare la testa della donna, è impossibile tener conto di ogni volta che Joe Exotic ha minacciato di morte Baskin, anche solo in video. Ma come spiegano nelle interviste i lavoratori dello zoo, in un posto in cui è non è strano salutare qualcuno puntandogli la pistola in faccia, nessuno pensava facesse sul serio.
Invece a settembre 2018 Joe viene incarcerato per aver provato non una, ma due volte ad assoldare qualcuno disposto ad uccidere Baskin. A queste accuse si aggiungono quelle di 17 reati contro la fauna selvatica, tra cui l’uccisione di cinque tigri. È la prima condanna per crimini di questo genere. Exotic è sentenziato a 22 anni di carcere.

Una delle cose più interessanti che Tiger King ha sollevato è stata la reazione degli spettatori. Davanti ad animali trasportati con scavatori, personale sfruttato, violenza e adescamenti sessuali ci si aspetterebbe indignazione, ma la maggior parte del pubblico in realtà sembra parteggiare per Joe. Su Internet fioriscono meme, celebrità propongono raccolte fondi per farlo uscire dal carcere, un giornalista ha chiesto a Donald Trump se gli avrebbe concesso la grazia e lui ha risposto che “ci avrebbe pensato su”.
Come è possibile che un individuo come Joe Exotic venga recepito favorevolmente, e su Carole Baskin si stia riversando un odio smisurato?
Il motivo sta nella macchinazione narrativa. La serie è girata in modo da presentare sì fatti disturbanti su Joe, ma subito giustificati da sofferenza o eccentricità. Questo porta ad un’immediata pietà per il personaggio che se non fa immedesimare perlomeno impedisce di biasimarlo del tutto. Carole Baskin, invece, è da subito presentata con riprese che indugiano sul suo volto mentre si mette il rossetto, i vestiti leopardati, l’espressione serafica: la femme fatale che negli anni ’80, come insiste Joe Exotic, avrebbe fatto sparire il primo marito dandolo in pasto alle tigri.
Dalle indagini non risultarono prove concrete contro Baskin e il caso venne chiuso (ma uno sceriffo ora vuole riaprirlo). Perché la serie sembra suggerire la sua colpevolezza senza presentare alcuna prova, e fa di tutto per screditare l’evidenza della sentenza su Joe Exotic? Perché il pubblico segue la stessa logica?
Le interpretazioni sono due, ed equamente interessanti. La prima vede la contrapposizione uomo-donna e la conseguente, sessista percezione dello scontro come quello tra un uomo che sarebbe buono ma è stato rovinato dall’astio per una donna spiacevole (accusa negata dalla co-regista Rebecca Chaiklin.)
La seconda, meno evidente, è il confronto tra un sostenitore della proprietà privata di specie esotiche e un attivista per i diritti degli animali. Il fatto che il pubblico sembri preferire il primo alla seconda è sintomo di una società che non ha ancora assorbito come l’attività umana abbia impattato l’ecosistema, arrivando a causare sia la crisi climatica che la pandemia. Perché (come scrive più estesamente Alessandra in questo articolo) è stato il traffico di animali esotici a portare nelle stesse gabbie specie che altrimenti non sarebbero mai entrate in contatto, portando al salto di specie del SARS-CoV-2 e in ultima analisi alla situazione attuale.

A qualche chilometro dai mercati in cui si vendono pipistrelli e pangolini, primi indiziati come recipienti del virus, ci sono interi allevamenti di tigri le cui ossa sono destinate ad essere polverizzate e vendute come amplificatori di virilità o status symbol. Gli Stati Uniti considerano la chiusura di queste fattorie vitale per la conservazione della specie, ma la loro credibilità internazionale è indebolita dagli innumerevoli zoo privati e la mancanza di regolazioni specifiche in patria. Le leggi inerenti alla proprietà di animali esotici differiscono di stato in stato, e in quattro sono completamente assenti: ossia è più facile comprare un cucciolo di tigre che adottare un cane.
Il traffico di animali esotici e derivati non solo si stima frutti intorno ai 20 miliardi di dollari l’anno, ma è strettamente legato a quello di armi e droga: a gestirli sono spesso gli stessi gruppi della criminalità organizzata. Così Pablo Escobar ha creato una colonia di ippopotami in Colombia, e personaggi come Mario Tabraue, che compare anche in Tiger King (e secondo alcuni avrebbe ispirato il Tony Montana di Scarface), usavano i propri “giardini zoologici” come floridi depositi di droga.

Alla fine, forse la cosa più sorprendente di Tiger King è che né Joe, né i suoi dipendenti, né i registi mostrano mai una connessione emotiva con le tigri. In una serie che si dichiara dalla parte degli animali, pare che tutti si siano scordati di loro.

Autrice: Alison Haughton
Alison studia Scienze Biologiche all’Università di Pisa e davvero non le dà fastidio se pronunci male il suo nome, ha un quadernino su cui si annota le versioni migliori. Fa parte di RadioEco dal 2019.
Altre riflessioni su cultura pop e società della stessa autrice:
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