Il COVID-19 è una zoonosi: una malattia che può essere trasmessa naturalmente dagli animali vertebrati all’uomo e viceversa. In questi giorni sta mettendo alla prova l’umanità, ci sembra una terribile piaga abbattutasi su di noi, di cui non abbiamo nessuna responsabilità. Ma è davvero così?
Sappiamo che il coronavirus inizialmente infettava i pipistrelli, è che è stato in grado di fare il cosiddetto salto di specie e giungere all’uomo. In questo percorso è passato probabilmente attraverso un piccolo vertebrato squamato, il pangolino: la sequenza del virus trovato in esemplari di Manis sembrerebbe essere al 99% simile a quello umano. Questo spillover non è un fenomeno nuovo. Ma è un fenomeno raro, che però si è verificato molto frequentemente in tempi recenti, ad esempio con i virus dell’influenza aviaria nel 1997 e con il coronavirus causa della SARS nel 2002, zoonosi anche questa presente in origine nei pipistrelli. E anche l’epidemia da virus Ebola del 2014 ha avuto origine zoonotica.
La maggior parte di questi ceppi di zoonosi si sono originati in Cina, e non è un caso. Qui esistono i wet market, ovvero enormi mercati di animali, vivi e morti, allevati e selvatici, legali e illegali (e quindi a rischio estinzione). Fra questi, i pangolini sono la specie più trafficata al mondo: il loro consumo è proibito dalla China’s Wildlife Protection Law, ma sono molto ricercati sia per la carne che per le squame chitinose, utilizzate nella medicina tradizionale cinese (ma quanto sia realmente tradizionale e quanto frutto di un buon marketing, dato che il traffico di pangolini è un fenomeno piuttosto recente, è da rivedere). Nei wet markets quindi, di Wuhan come di Guandong (da dove si è diffusa la zoonosi SARS), specie animali che normalmente in natura mai si incontrerebbero, o comunque tenderebbero a rispettare distanze da social distancing, si trovano assembrate in gran numero in spazi ristretti, vicino a feci, escrezioni, sangue e aerosol prodotti da altri organismi.
Ogni animale selvatico viene strappato da un ecosistema in cui si trovava incastrato alla perfezione come il pezzo di un puzzle, come in un castello di carte in equilibrio. Quando togliamo in modo ingente una specie dal suo habitat, inevitabilmente il castello cade, o si riassesta in equilibri precari, come meglio può. Intanto, il pipistrello, il pangolino o la scimmia che abbiamo prelevato dalle profondità delle foreste di Asia, Africa o Sudamerica, vengono a trovarsi in un nuovo contesto: e comincia a formarsi un nuovo castello. Di cui faranno parte, ovviamente, anche i microrganismi presenti dentro (o sopra) di loro.

Virus e batteri sono naturali componenti di un ecosistema. In un habitat sano, i loro cicli vitali si possono svolgere senza arrecare danno permanente agli altri organismi, parti di un equilibrio in cui ciascuno svolge la propria funzione. I virus in natura non sono sempre letali: che senso avrebbe uccidere l’unico mezzo che hai per riprodurti? L’evoluzione pian piano può premiare un rapporto in cui l’ospite non viene danneggiato. Ma estraendoli dal loro ambiente naturale, non si trovano più nelle condizioni ideali – frutto di una lunga coevoluzione- per la loro sopravvivenza. La vita però è determinata, e si adatta come meglio può per continuare. Così, quei virus e batteri che riescono a passare ad un’altra specie si possono diffondere. E la zoonosi può arrivare ad infettare l’uomo.
“Invadiamo foreste tropicali e altri ambienti naturali selvaggi, che sono l’habitat di una moltitudine di specie animali e di piante e, fra queste creature, di numerosi virus sconosciuti. Tagliamo gli alberi, uccidiamo gli animali o li mettiamo vivi in delle gabbie e li mandiamo ai mercati. Distruggiamo gli ecosistemi, liberiamo i virus dai loro ospiti naturali. Quando ciò accade, i virus hanno bisogno di un nuovo ospite. Spesso, quell’ospite siamo noi.“
David Quanmenn, autore di “Spillover: Animal infections and the next Pandemic”
La Cina è sicuramente l’epicentro di molte traiettorie del bracconaggio internazionale, ma il problema della distruzione della natura è universale, e causato dal nostro modo sistematicamente sbagliato di approcciarci ad essa. Ad esempio, se avete seguito il perverso documentario Netflix Tiger King, avrete visto quanto sia florido il commercio di animali esotici negli Stati Uniti (ne parla meglio Alison in questo articolo), e anche qui in Italia il bracconaggio è un grosso problema, in particolare per il bresciano, importante tappa nella rotte migratorie di moltissime specie di uccelli.
Gli animali selvatici sono minacciati da un guadagno economico che non ha niente a che vedere con il bisogno di proteine. Gli animali esotici sono pets o in generale status symbol di un presunto amore per la natura. Perché il problema sta tutto lì, sta nel considerare animali e natura come inferiori, e in quanto tali usurpabili, e nello scambiare l’amore con il possesso.
Quest’estate, ho fatto volontariato con Archelon, un’ONG per la protezione delle tartarughe marine. Tenevamo lontano frotte di turisti dalle schiuse, cercando di proteggere i delicatissimi cuccioli. Fra le varie lamentele, una signora mi ha detto:
“Ma io ho speso un sacco di soldi per venire qui, e non posso neanche vedere una tartaruga?”
Eccolo, il nostro più grande errore: credere di poter ottenere la natura in cambio di una certa quantità di soldi. Credere che sia un prodotto che possiamo acquistare.

Vediamo l’ambiente come qualcosa di esterno da noi, che possiamo conquistare, sfruttare e mettere al nostro servizio. Non ci rendiamo che invece è più grande di noi, è tutto quanto, e noi ne siamo solo una parte. Lo gestiamo come se rientrasse nelle nostre categorie di pensiero, come se fosse una parte del nostro sistema economico, quando sappiamo davvero poco di come funzioni. Le nostre azioni quindi, hanno conseguenze che non siamo in grado di prevedere. L’aumento delle zoonosi, così come la crisi climatica, sono solo i più disastrosi fra gli esempi.
Riusciremo a imparare qualcosa da tutto questo? Saremo in grado di rimediare ai nostri errori ed evitare altre catastrofi, devastazioni e zoonosi pandemiche in futuro?
It is nice to hear that now from the Punjab they can clearly see the Himalayas, in a way that they have been unable to see for 50 years, or, that dolphins are coming into the waters of Venice, or, that I can see a lot more stars now in my backyard, but, we all know what is going to happen, once the lockdown ends, we are going to go right back to mucking it up again, as we have convinced ourselves that there is no other way. But, the lockdown is not going to end, we are all locked down on this planet with everyone else, our global family, and only in our imagination are we going anywhere else, or is anyone else coming here. This is one giant peace education program and individually we are either going to learn the lesson or we’re not.
Robert Gary Banhart

Mentre il mondo è in quarantena, in India e Brasile si schiudono i nidi di tartaruga marina, sulle spiagge per la prima volta sgombre dai turisti. Nel frattempo, in Cina, in Vietnam e in Gabon si è bruscamente ridotto il commercio di carne di pangolino, un po’ per prevenzione, un po’ per paura. A conferma che la natura può trovare modi inaspettati di riprendersi i propri spazi. A rimetterci, alla fine, saremo noi.
In some ways it was simpler being too fucked up to see
I didn’t have to wake up to the world that was around me
And now we are awake , and it seems too much to take
I want to close my eyes because I fear my heart will break
I want to look away
I must not look away
Don’t go blindly into the dark , in every one of us shines the light of love
Florence + The Machine, Light of Love

Autrice Alessandra Pafumi
Studentessa di biologia marina nata nel 1997, è a casa solo quando è quasi a casa. Gioca a fare la blogger e la speaker per RadioEco dal 2019. Gestisce Disconnected con Giulia Greco.
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