Disconnected dalla quarantena- l’incantevole nostalgia dei Beach House

Chi sono i Beach House?

Se li googlate, specificate “Beach House band“, altrimenti sarà un po’ difficile trovarli in mezzo agli annunci di case per le vacanze. Il loro sito ufficiale si chiama beachousebaltimore.com: Alex Scully e Victoria Legrand sono infatti un duo formatosi a Baltimora (Stati Uniti) nel 2004. Alex alla chitarra, Victoria voce e tastiere, sono l’anima tormentata dietro 7 impeccabili album.  7 è un numero culturalmente associato alla magia, ed è anche il titolo del loro ultimo disco, mentre le iniziali dei precedenti sono la ripetizione delle lettere B, D e T: quest’atmosfera da formula magica, subito evidente, viene confermata dall’incanto fuori dal tempo dei loro corposi brani dream pop (sulla consolidata scuola dei Cocteau Twins).

The Onion (una specie di Lercio statunitense) ha scritto in un articolo: Unclear Which Beach House Song This Is, Reports Lead Singer Of Beach House. Effettivamente, la loro musica è un insieme molto fluido, fatto per sfumare dolcemente da un brano all’altro.  Come le scene di un sogno, le track non sempre hanno una fine definita, ma scemano in lente distorsioni e volumi decrescenti. Sono nuvole di fumo, che si confondono in spirali cangianti di un massiccio e riverberante wall of sound.

Quando ci svegliamo dopo aver sognato, inizialmente non ci capiamo niente. Però, se ci riflettiamo, riusciamo a comprendere i simboli e le immagini del sogno, provenienti direttamente dal nostro inconscio, e tutto inizia ad avere più senso. Così pian piano, immergendoci sempre di più nella musica dei Beach House, tagliando le costrizioni che ancora ci legano al mondo del tangibile, anche le loro canzoni prendono contorni definiti. E si fanno veicolo di desideri e passioni della parte più profonda di noi, come veri e propri sogni.  

foto mia dei Beach House al Troxy, Londra

Perché ho scelto quest’album? 

I Beach House sono indispensabili per me. Sono il posto dove vado quando voglio trovare qualcosa che conosco confortevolmente a memoria, ma che riesce a mantenere un’aura di mistero e magia. Sanno restituirmi le mie emozioni quotidiane, depurate dalle costrizioni terrene (di cui pur si nutrono), ed espresse in tutta la loro drammaticità. Se i Papooz erano solo superficie, i Beach House sono profonda introspezione, sono la restituzione di epicità ai sentimenti. O l’ultimo livello di drama queen, depressed to impress.

Difficile scegliere un album, sono tutti importanti, ognuno con il suo specifico mood, complementari e necessari in periodi diversi della vita. Ho infine scelto Teen Dream, l’album forse più approcciabile e colorato, e che contiene alcuni dei mantra che più spesso mi ripeto. 

L’album:

Teen Dream è il terzo album dei Beach House, dopo le decadenze retrò fra sacro e profano dei primi due (l’omonimo esordio e Devotion), ma prima del fratello antitetico Bloom; e del capolavoro più conosciuto Depression Cherry, ritorno ai velluti color ciliegia degli esordi, con tutta la perfezione tecnica della maturità. Senza dimenticarci del suo mistico gemello Thank Your Lucky Stars.

Teen Dream (2010) è la prima collaborazione del duo con il produttore Chris Coady, e con la famosa casa discografica SubPop: fattori che certo hanno aiutato ad emancipare la singolarità del loro suono.  E’ un album tutto basato sull’importanza del passato, sui quei sogni adolescenziali che continuano a ripresentarsi nella nostra vita, e con cui dobbiamo prima o poi fare i conti. 

Teen Dream cover

Zebra, richiamato dal pattern della copertina, è il guizzo di un animale in una savana pulviscolare, un pezzo angelico e stratificato, che sta in testa a tutti gli altri come il personaggio descritto dal testo.  Poi, Silver Soul: il più decadente dei brani,  centrato sulla twinpeaksiana frase it is happening again, pronunciata dalla monotonica voce di Victoria con tutta la consapevolezza dei piaceri e delle sofferenze che l’attendono. Il suo drammatico repertorio vocale ricorda quello gelido e gotico di Nico (a cui è dedicata Last Ride nell’ultimo album).

Sui tintinnii argentati in conclusione riparte la più incalzante delle track, Norway. La scarica di energia positiva del brano sfocia nella malinconicamente liberatoria Walk in the Park, realizzazione che alcune cose hanno una fine, e col tempo, smettono di avere effetto su di noi. Siamo esseri in continuo cambiamento:

Don’t forget the nights
When it all felt right
Are you not the same as you used to be?
In an endless night
Could you feel the fright
Of an age that was and could never be?

 La rassicurante Used to Be è riguardare le vecchie foto e sorridere, è riconoscere il valore del nostro passato senza rimpianti, seppur con affetto.

Con Lover of Mine, comincia a farsi strada la tristezza: un lamento sulla distanza dalla persona amata, sia fisica che spirituale, sia spaziale che temporale. Il ritmo confortante e quasi disco music si perde in effluvi vaporwave e agisce per contrastare il doloroso grido di Victoria:

The only thing you’ve got

You know you’re better off without it

Near yet so far

Isn’t it?

Le frasi vengono ripetute più volte, come in un cantico religioso: l’amore è oggetto di devozione totalizzante nei Beach House. Better Times è quindi uno sguardo assolutamente malinconico sul passato, tutto teso fra la gioia di averlo vissuto e la tristezza per averlo perduto, mentre 10 Mile Stereo è un’esplosione di speranza. Il pezzo culmina in quel senso di levitazione così tipicamente loro, in quell’atmosfera di possibilità drammaticamente sospesa, che non è immune ai ricordi, ma da essi dipende. La ballata vintage Real Love indaga la realtà dell’amore, piccola pausa riflessiva prima del crescendo tumultuoso dell’ultimo brano, Take Care. Finalmente e alla fine, la promessa, intensamente sentita, di un punto di arrivo per il nostro vissuto, di qualcosa di vero, con cui siamo disposti a crescere.

Stand beside it, we can’t hide the way it makes us glow
It’s no good unless it grows, feel this burning, love of mine
Deep inside the ever-spinning, tell me does it feel?
It’s no good unless it’s real, hillsides burning
Wild-eyed turning ’til we’re running from it

I’d take care of you if you ask me to

Per perdervi ancora di più nel mondo liminale dei Beach House, vi lascio alcune fra le mie track preferite dagli altri dischi, oltre a quelle che ho linkato qua e là:

Master of None

Auburn and Ivory

Gila

Heart of Chambers

Myth (forse la mia preferita)

Lazuli

Space Song (irraggiungibile)

PPP

The Traveller

Rough Song

I Do Not Care for the Winter Sun

Lemon Glow

Drunk in L. A. (mantra)

Cosa ne pensa Giulia?
Questo è quello che ti avrei detto se avessimo fatto la puntata su Teen Dream:

Butto le mani avanti e dico subito che la mia preferita dell’album è Silver Soul perché quel canto ovattato e quell’ ‘’It’s happening again’’ mi ricordano tanto lo scenario del Roadhouse, epilogo di buona parte degli episodi di Twin Peaks: The Return (che io ho visto parzialmente, ma that’s another story).
É proprio questo il punto: se riesci a creare un mood con le canzoni, hai vinto; quelle dei Beach House fanno parte di quel mega incantesimo musicale chiamato dream pop e shoegaze: non studio musica, quindi lungi da me dare definizioni (di generi poi, che è sempre un po’ limitante), quindi proverò piuttosto a riassumerla così: stay alone with your thoughts? Allora, ascolta i Beach House, Cigarettes after Sex, M83 (posso?) e altri gruppi che non conosco; qualcuno scrisse ”All genuine poetry takes its origin from emotion recollected in tranquillity” (ecco qui ho sicuramente sforato).

Mi ha fatto super ridere aver scoperto una fanbase come quella dei BH così prolifica: cercate Myth su Youtube e ve la troverete come sottofondo a una miriade di vecchi film super malinconici, tipo questa perla.
Comunque ti ricordi quando la nostra chat era intasata di nomi improbabili per ‘sto benedetto programma? Qui una delle proposte:

Sì, questa immagine è stata ottenuta schiacciando alt + stamp e incollando lo screenshot su Paint.

Qui una playlist shoegaze-ish (è una mood playlist, quindi ci stanno gli album interi) di Alessandra se tutto questo vi piace:


alessandra

Autrice Alessandra Pafumi

Studentessa di biologia marina nata nel 1997, è a casa solo quando è quasi a casa. Gioca a fare la blogger e la speaker per RadioEco dal 2019. Conduce Disconnected con Giulia Greco.

2 thoughts on “Disconnected dalla quarantena- l’incantevole nostalgia dei Beach House”

  1. Pingback: Conservazione e popolazioni indigene: perché dobbiamo cambiare la nostra visione della natura - RadioEco

  2. Pingback: Fast Fashion: il nostro armadio fra ambiente, Black Lives Matter e Coronavirus - RadioEco

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *