Sono tempi difficili quelli che stiamo passando, è innegabile. La pandemia dilaga e la luce alla fine del tunnel lampeggia a intermittenza: a volte la vediamo, altre no. Passo molto tempo su Twitter, il mio social network preferito. Mi piace scorrere la timeline la sera, leggendo le storie dei miei mutuals e di tutte le altre persone che, come me, stanno cercando di andare avanti.
Ma ciò che ho letto ieri sera (2 aprile) mi ha fatto gelare il sangue; ciò che Telegram (e sicuramente altre piattaforme social) sta permettendo è agghiacciante.
Esiste un canale su Telegram chiamato “STUPRO TUA SORELLA“. Gli iscritti sono quasi 50 mila. Si tratta di uomini e ragazzi che si scambiano materiale porno e pedopornografico, selfie e normalissime foto di donne, istigandosi e aizzandosi a vicenda, gridando allo stupro collettivo e alla violenza sulle donne. Si scambiano foto di ragazze qualunque, di ex, di conoscenti, di parenti; c’è chi svende le proprie sorelle o le proprie figlie.
Una ragazza è entrata nel canale e ha trovato tra i media foto di persone conosciute, di amiche reali e di amiche virtuali. Ha segnalato il fatto su Twitter, avvertendo le ragazze coinvolte, e da lì sono divagati caos, indignazione e rabbia.
Tanta, tantissima rabbia.
Che al mondo esistano individui che senza il consenso delle donne e delle ragazze prendano le loro foto e i loro selfie per buttarli in un’arena di viscidi depravati e per sessualizzare i loro volti e i loro corpi è inconcepibile. Si parla di foto personali, di selfie scattati da ragazze che in quel momento si sentivano forti e belle.
E no, non sono vestite in maniera succinta, non sono truccate pesantemente, non hanno pose esplicite e accattivanti. Ma se anche fosse, sarebbe nostra la colpa? È colpa di noi donne se, qualunque cosa facciamo, veniamo pesantemente sessualizzate?
Secondo gli utenti del canale, sì. Secondo 50 mila uomini la colpa è di noi donne. Se mettiamo una foto in rete, ce la siamo cercata. Loro sono autorizzati a masturbarcisi sopra, a chiamarci “troie” e a volerci violentare.
Ieri sera è partita una segnalazione di massa da parte degli utenti di Twitter. Il canale è stato segnalato a Telegram e alla Polizia Postale, ma l’amministratore di quell’abominio ha già creato un canale di riserva. Purtroppo, come ha detto lui stesso, possiamo farglielo chiudere quante volte vogliamo, tanto lui continuerà ad aprirne di nuovi.
Il canale Telegram è solo uno dei tanti sintomi che contraddistinguono una delle più grandi malattie del mondo: l’oggettivazione femminile.
Ora io pongo una domanda: perché è sempre colpa di noi donne? Perché, quando ci succede qualcosa di “brutto”, il primo quesito che la gente si pone è “Com’era vestita?”?
Gli stupri sono colpa nostra perché «la minigonna e i tacchi se li mettono le puttane», quindi se li indossiamo anche noi stiamo esplicitamente chiedendo di venire violentate.
I catcalling e le attenzioni non richieste sono colpa nostra perché, come per i vestiti, allo stesso modo se ci trucchiamo in modo appariscente è chiaro che vogliamo attirare l’attenzione degli uomini; siamo fatte così, no? Siamo nate in funzione degli uomini.
La masturbazione di gruppo sui nostri selfie è colpa nostra perché dovevamo pensarci prima di pubblicare foto sui nostri profili social. Non li carichiamo proprio per quello, per permettere agli uomini di trastullarsi un po’?
Perché io donna devo ponderare bene ogni mio gesto e ogni mia scelta in funzione di potenziali belve, violentatori e assassini?
Uomini, si può sapere cosa vi abbiamo fatto per farci disprezzare così tanto?

Autore: Rebecca Moggia
Appassionata di scrittura e letteratura, spesso fa a pugni con la tavoletta grafica. Frequenta il corso di laurea magistrale in Editoria Digitale. Fa parte di RadioEco dal 2019.