Nasceva 167 anni fa, il 30 marzo 1853, il pittore olandese, autore di più di 900 dipinti. Oltre il genio e la follia, Vincent Van Gogh lo ricordiamo anche per la sua esistenza tormentata.
Incompreso e disprezzato in vita, Vincent influenzò profondamente l’arte del XX secolo e dopo aver trascorso molti anni soffrendo di frequenti disturbi mentali, morì all’età di soli trentasette anni nel 1890.
L’amicizia burrascosa con Paul Gauguin, la vocazione religiosa, i viaggi solitari nel cuore dell’Europa, l’autolesionismo e l’assenzio hanno permesso a Van Gogh di riassumere in sé tutto ciò che pensiamo dell’arte e dei suoi misteriosi segreti.
La vita e le opere

Van Gogh iniziò a dipingere tardi realizzando molte delle sue opere più famose negli ultimi due anni di vita; pare infatti che abbia venduto un solo dipinto. Oggi il suo Ritratto del dottor Gachet vale più di 100 milioni di dollari.
I suoi quadri sono colorati, vitali, semplici ma diretti: la realtà diventa una creazione e una rappresentazione dell’io interiore dell’artista.
Con Antonin Artaud ricordiamo il saggio Van Gogh il suicidato della società, pubblicato nel 1947, in cui l’autore mostra cosa possa scatenare l’arte, e come abbia a che fare con qualcosa di incontrollabile.
Vincent Van Gogh è adorato per questo, perché attiva qualcosa che c’è in tutti noi. Troviamo nei suoi capolavori qualcosa di infantile, e contemporaneamente di elaborato.
Nelle lettere dell’artista ai suoi corrispondenti, tra cui all’amato fratello Theo, suo confidente e sostenitore, Vincent si è misurato con la pittura del suo tempo, cercando qualcosa di originale.
L’arte per il pittore olandese era invenzione e immaginazione.
La vita di Vincent Van Gogh è stata funestata dal malessere psichico. L’artista soffriva di attacchi di panico e allucinazioni alle quali reagiva con atti di violenza e tentativi di suicidio, il tutto aggravato dall’assenzio.
Nel 1879 Van Gogh raggiunse le regioni minerarie del Belgio per prendersi cura dei malati e predicare la Bibbia ai minatori. Decise di vivere come loro, dormendo in una baracca e in povertà.
Questo eccesso di fervore, però, spaventò molto i responsabili della Scuola di Evangelizzazione di Bruxelles, che decisero di non gli rinnovargli l’incarico di predicatore.
Gli umili, i lavoratori dei campi e i minatori erano infatti i soggetti preferiti dal pittore olandese.
Nel 1888, su consiglio del fratello Theo, Van Gogh si trasferì ad Arles, nel sud della Francia per vivere con il pittore Gauguin, amico di Theo.
Il rapporto tra i due non fu facile, anche a causa dell’instabilità di Vincent. Probabilmente la causa dei litigi fu Rachele, una prostituta che lavorava in un bordello frequentato dall’amico Gauguin, di cui Vincent era innamorato. E proprio a Rachele è legato uno degli episodi più famosi della vita del pittore. Nel 1889 infatti, Vincent, in preda ad allucinazioni si mozzò con un rasoio metà dell’orecchio sinistro e lo spedì a Rachele, come pegno di amore. Qualche giorno dopo Vincent si ritrasse con una vistosa fasciatura a coprire l’orecchio mutilato.
Nel maggio del 1890 Van Gogh lasciò la clinica psichiatrica di Saint-Rémy-de-Provence e morì a soli 37 anni per un colpo di rivoltella probabilmente auto inferto. C’è però chi sostiene che non si sia trattato di un suicidio bensì di un incidente, legato all’abitudine che aveva Van Gogh di passeggiare di notte nei campi di grano.
Willem Dafoe: «Non imito, fornisco un’esperienza»

Il ritratto del pittore della Notte stellata è stato anche tramutato dal regista e pittore Julian Schnabel in un film: Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità (At Eternity’s Gate), del 2018.
La pellicola, con protagonisti Willem Dafoe, Oscar Isaac e Mads Mikkelsen, racconta gli ultimi e tormentati anni di Vincent Van Gogh, dalla burrascosa amicizia con Paul Gauguin, fino al colpo di pistola che lo uccise.
Il regista americano è riuscito a tenere insieme con uguale potenza le due anime: la ricerca artistica e quella esistenziale, grazie all’interpretazione di Willem Dafoe.
Afferma Schnabel:
«Tutti pensano di sapere tutto su Van Gogh e sembrava assurdo fare un altro film su di lui. Eravamo io e Jean-Claude Carrière al Musée d’Orsay e guardando i suoi dipinti ci è venuta l’idea di rendere l’emozione, l’esperienza di entrare in museo, avvicinarsi ai quadri, guardarli e poi passare oltre, uscendo con quel senso di accumulazione che danno tante opere insieme»
Schnabel porta lo spettatore nella soggettiva dell’artista proprio perché attratto dalla vita dell’artista. Julian è interessato a quel tipo di approccio e a quel tipo di sensibilità, quello stare al mondo attraverso la propria arte, come ci racconta anche Pappi Corsicato che ha dedicato al regista il documentario L’arte viva di Julian Schnabel.
Schnabel nel suo film rifiuta l’ipotesi del suicidio del pittore e propone un’altra tesi: un colpo partito inavvertitamente da alcuni ragazzi.
Non è lo sguardo dell’artista, ma uno sguardo d’artista, che volge gli occhi verso il cielo e i campi. Schnabel ci ha fatto vedere qualcosa che non sempre riusciamo a vedere.
Non solo.
Nelle sale italiane solo per tre giorni abbiamo apprezzato anche il film di Dorota Kobiela e Hugh Welchman. Un film d’animazione realizzato con attori e ridipinto utilizzando i quadri dell’artista.
Loving Vincent è il primo lungometraggio interamente dipinto. Un’opera, per rendere semplice quello che semplice non è stato, trasformata in film d’animazione da una squadra di 125 artisti che hanno riprodotto su tela ognuna delle inquadrature.
Nei dipinti di Vincent non ci sono personaggi inventati, sono tutti veri, sono esistiti e hanno avuto un ruolo nella vita dell’artista.
L’obiettivo del film è abbracciare la totalità della figura di Van Gogh. Tutte le sue ansie e le sue preoccupazioni sono lì.
L’Autoritratto
«Preferisco dipingere gli occhi degli uomini che le cattedrali, perché negli occhi degli uomini c’è qualcosa che non c’è nelle cattedrali»

Uno tra i tanti autoritratti di Vincent si trova al Museo Nazionale norvegese di Oslo e dopo anni di incertezza, i funzionari del Museo di Van Gogh di Amsterdam hanno confermato l’autenticità di un autoritratto del pittore. Un esame tecnico e stilistico approfondito ha dimostrato che il dipinto è un’opera del pittore olandese.
Si ritiene che il dipinto risalga proprio al periodo che passò nella clinica psichiatrica francese. Si dice che sia l’unica opera di Van Gogh che il pittore ha creato con certezza mentre soffriva di psicosi dopo il ricovero nel manicomio francese di Saint-Rémy.
ll dipinto è stato acquistato dal Museo Nazionale norvegese nel 1910 per 10mila franchi francesi anche se l’autenticità dell’opera è stata discussa a partire dagli anni Settanta.
«L’incertezza richiedeva di agire» ha spiegato la curatrice del Museo Nazionale norvegese Mai Britt Guleng: «Quando nel 2014 abbiamo consegnato il quadro agli esperti del museo Van Gogh di Amsterdam non avevamo alcun tipo di aspettativa».
Anche Louis van Tilborgh, ricercatore senior del museo di Amsterdam e professore di Storia dell’Arte nella locale università si è interessato sulla veridicità dell’opera.
«Se si esamina il quadro in tutti i suoi aspetti si può notare la sua piena affinità con le altre opere di Van Gogh. Quello che vediamo è un paziente spaventato. Un uomo che si guarda allo specchio e vede qualcuno che è profondamente cambiato»
ha detto Van Tilborgh durante la conferenza stampa di presentazione dei risultati della ricerca.
Van Gogh Immersive Experience

Esperienza è proprio il termine esatto per descrivere questa novità dedicata al genio olandese.
L’impatto della mostra, come quello di un abbraccio visivo, ha sorpreso milioni di italiani che sono stati coinvolti a 360 gradi, vivendo la straordinaria esperienza di immergersi nei quadri di Vincent Van Gogh.
I visitatori vengono come risucchiati in spirali di linee e disegni, che sono proiettati in altissima definizione e in 3D su schermi giganti. I ritratti e i paesaggi del pittore, muovendosi attraverso il videomapping, diventano vero e propri capolavori che prendono vita.
Dalle sue ispirazioni, ai i suoi soggetti, fino ad immergersi nel corpus dei suoi lavori, con la visione videomappata di diversi dipinti, “camminando” attraverso le sue opere, la mostra è stata prodotta e distribuita a livello internazionale da “Exhibition Hub” e da “Next Exhibition”.
«Con un quadro vorrei poter esprimere qualcosa di commovente come una musica. Vorrei dipingere uomini e donne con un non so che di eterno, di cui un tempo era simbolo l’aureola, e che noi cerchiamo di rendere con lo stesso raggiare, con la vibrazione dei colori …»

Autore: Veronica Grasso
Studia Scienze Infermieristiche presso l’Università di Pisa.
Fa parte di Radioeco dal 2018.