“Nonostante il modo in cui David Bowie si è comportato con me, ciò che ha fatto per l’emancipazione sessuale e la libertà delle persone è straordinario. Ha proiettato la propria luce negli angoli bui dell’animo di molte persone, aiutandole a vedere se stesse per quello che sono e forse ad amarsi un po’ di più.”
Angela Barnett (Angie Bowie) da “Backstage Passes”

Chi scrive queste righe si sente in dovere di fare una premessa al lettore: questo articolo non sarà un tentativo di riassumere la mutaforme carriera di David Bowie, non elencherà i suoi brani più famosi e neanche quelli meno famosi ma altrettanto meritevoli. Non verranno neanche analizzati tutti i progetti paralleli alla musica che Bowie ha intrapreso nell’arco della sua lunghissima carriera.
Chi scrive vuole raccontarvi, nei giorni della nascita e della morte di un grande artista, di come David Bowie sia stato in grado di influenzare la vita delle persone, non solo di quelle che lo hanno personalmente conosciuto, ma anche di quelle che sono state toccate dalla sua musica e dalla sua personalità. Un effetto e un’influenza che, nonostante la sua morte avvenuta oramai quattro anni fa, sono ancora tangibili.

Prendiamo una macchina del tempo e torniamo indietro a quando David Bowie era ancora vivo. Non parlo degli ultimi anni della sua vita, quando già malato lavorava a Blackstar e pubblicava il video di Lazarus meno di un mese prima di morire, consegnando ai posteri la sua lettera d’addio. No, parlo di andare ancora più indietro, cioè fino agli anni Settanta.
Ecco, fermiamoci qua negli anni Settanta e nel periodo della carriera di David Bowie identificabile come quello di Ziggy Stardust (nome di uno dei personaggi-personalità interpretati durante la sua carriera). È il periodo più iconico e famoso della carriera di Bowie: ha tratti androgini, si tinge regolarmente i capelli, posa per la copertina di un suo album vestito da donna (“Hunky Dory”, 1971), si presenta in scena con abiti stravaganti ed eccessivi, si esibisci con delle vertiginose zeppe rosse chiaramente da donna. Non fa parlare di sé solo per come si presenta in scena, ma anche perché ha una vita sessuale sfrenata che non tiene nascosta, come non tiene nascosto di andare indiscriminatamente a letto sia con donne sia con gli uomini. Se guardiamo a tutto questo con la consapevolezza che gli anni Settanta passeranno poi alla storia come gli anni degli eccessi e a David Bowie come un’icona rimaniamo abbastanza indifferenti davanti a tutti questi dettagli, ma se ci mettiamo nei panni di chi tutto questo lo vedeva per la prima volta, ci rendiamo conto di quanto questo potesse stupire e scandalizzare.

Certo, David Bowie non è uno sprovveduto e non lascia niente al caso: Ziggy Stardust, il trucco, i vestiti, le sue perfomance dal vivo sono tutto frutto dello studio e delle passioni artistiche di Bowie mescolate tra loro con grande sapienza e minuziosa cura dei particolari. Concesso questo, c’è da dire che l’altra faccia della medaglia è che David Bowie fa quello che vuole, vive come vuole, insomma è semplicemente se stesso e questo. L’essere se stesso e il metterlo nella propria musica, nelle proprie perfomance e nel modo in cui vive la fama è il terzo, forse più importante ingrediente, di quello che era come artista. E’ su questo connubio che mi voglio soffermare, perché è proprio grazie alla combinazione tra personaggio di scena e l’io del cantante che inizia a rappresentare tutte quelle minoranze che fino a quel momento erano rimaste ai margini e non si erano sentite rappresentate.
David Bowie, neanche troppo lentamente, finisce per diventare due cose: un’artista completo e di talento, in grado di unire valore musicale e capacità di unire diverse forme d’arte, e la voce di chi fino a quel momento non ne aveva avuta una. È la voce dei diversi, degli eccentrici, degli sbandati, degli anormali, dei perdenti, di chi è ai margini della società. Diventando la loro voce li aiuta a non sentirsi soli, ad accettarsi.

A un certo punto della sua carriera, David Bowie decide che è arrivato il momento di dire addio a Ziggy Stardust e di conseguenza vanno lentamente a scomparire gli abiti eccessivi, il trucco, la stravaganza di quel periodo. I personaggi che seguono sono esteticamente più pacati, più vicini a un canone estetico di normalità e, con il passare degli anni, vengono meno i tratti androgini della gioventù. David Bowie è sempre più esteticamente lontano da chi era eppure mantiene la sua capacità di rappresentare chi è diverso, a dargli una voce, come pochi altri artisti hanno saputo fare.
Molti artisti sono un fatto generazionale, cioè rappresentano la generazione dell’epoca in cui diventano famosi, nei casi più fortunati ne riescano a rappresentare anche un’altra, ma quando David Bowie è venuto a mancare si è notato come fosse stato in grado di rappresentare e aiutare non solo la generazione della sua gioventù, ma anche molte generazioni a seguire. Non era solo la generazione degli eccentrici degli anni Settanta a dire “hey, tu mi hai rappresentato!”, ma c’erano tanti, tantissimi giovani e giovanissimi che, nonostante non fossero vissuti all’epoca di Ziggy Stardust, avevano ritrovato in quel cantante degli occhi diversi la propria voce.

Nonostante siano passati quattro anni, Bowie non è ancora diventato un’icona fredda e fuori dal tempo come molti altri artisti che, nonostante siano ancora amati, suonano come un malinconico ricordo dei bei tempi che furono. No, David Bowie è tutt’ora una figura viva e vibrante forse proprio perché, oltre all’impatto musicale e artistico, ha avuto la naturale e innata capacità di empatizzare con chi era come lui: un diverso, uno strano, un eccentrico, cioè un “kooks” come egli stesso si definì nell’omonima canzone dedicata al figlio.
A nome di chi si è sentito diverso, degli eccentrici, dei perdenti, di chi ha faticato per trovare la propria forma, di chi deve ancora trovarla. A nome di chi, per parafrasare Bowie in persona, cambia sempre non per confondere gli altri, ma perché sta solo cercando se stesso, grazie all’uomo che cadde dalle stelle e ci è tornato per averci rappresentato.
“I’ve had my share, I’ll help you with the pain.
Rock’n’Roll Suicide, David Bowie (1974)
You’re not alone.“

Autore: Mara Pezzica
Classe 1994. Convinta di capire le persone dai gusti musicali, poi si ricorda che c’è chi è onnivoro come lei e la teoria decade. Frequenta Discipline dello Spettacolo e della Comunicazione. Responsabile dell’area musicale. A RadioEco dal 2017.