Mezzogiorno di domenica mattina, alla Casa del Jazz di Porta Ardeatina, a Roma, c’è palpitante attesa per la presentazione del nuovo disco di Francesco Diodati dal titolo “Never The Same”.
Quarta opera del chitarrista romano, membro del gruppo di Enrico Rava, e seconda in cui viene accompagnato da un talentuoso quartetto, gli Yellow Sqeeds.

Francesco Diodati & Yellow Squeeds
Qualche minuto per prendere un caffè al bar, entrare in sala concerti, sistemarsi, qualche saluto, contarsi, vedere che purtroppo l’età media è parecchio al di sopra di quella del sottostritto, due parole di presentazione per la giornata (che poi ha avuto anche Francesco Ponticelli e Alessandro Paternesi in concerto), far entrare i componenti del gruppo uno ad uno, e si parte.
C’è una evidente emozione di Diodati, come è comprensibile dato che suona nel luogo che lo ha visto crescere artisticamente e personalmente, misto all’impazienza di suonare e mostrare quali passi da gigante ha fatto sia a livello compositivo, sia a livello di suono unico che esce da questa ultima creatura che sono gli Yellow Squeets. Spesso nel jazz il musicista titolare vive in promisquità con i suoi compagni di avventura, ma non si confonde mai con loro, anzi continua contemporaneamente una solitaria e spesso egoistica presenza sul palco, quasi riducendo gli altri musicisti a puri turnisti. La cosa bella di sentire e vedere live un concerto così è che il gruppo esiste: non sono strumentisti prestati alla composizione del singolo, ma una calibrata e puntuale presenza di tutti gli elementi, che rende il complesso un suono unico.
Il gruppo è solido e c’è un collettivo superamento dei propri limiti, probabilmente anche suggerito dalle composizioni polimelodiche di Diodati, così che l’unione sia più della somma delle parti.
Le nuove composizioni mostrano la continua, divertente sperimentazione ed esplorazione di suoni, forme compositive e dialoghi strumentali. Sono note potenti quelle che escono dalla chitarra di Diodati, ma anche dal basso tuba suonato con capacità sbalorditive da Glauco Benedetti, melodie ritmiche sapientemente dosate e spesso fuori dal classico sentito jazz della batteria suonata da Enrico Morello, timidi ma decisi interventi, contrappunti e cori di tromba di Francesco Lento, così come la presenza discreta e potente al contempo del pianoforte e dei synth di Enrico Zanisi.
Diodati, a buon ragione, si rifiuta di presentare i pezzi, di parlare tra un brano e un altro, “non siamo mica qui per sentirmi parlare”, piuttosto per ascoltare la musica e così abbandonarsi ad intrecci melodici come nelle geometrie di Escher, perdersi nei paesaggi orientali di pucciniana memoria, immergersi nelle metropoli vintage di un futuro prossimo.
Si riescono a sentire le influenze di tutto il percorso live e gli studi che Diodati ha affrontato, partendo da Charlie Christian fino ad arrivare a Kurt Rosenwinkel, con una presenza maestosa di Thelonious Monk.
Unico brano che viene presentato è il bis di fine concerto, dal nome “Cities”, che prima si chiamava “Ferrara”, come raccontato da Diodati stesso che ammette di aver fatto sudare i suoi Yellow Squeets quando ha cambiato all’ultimo tutti i titoli del disco.
Il concerto si chiude verso le 13.30, con una platea che assale Francesco per comprare in anteprima questo suo ultimo disco, in uscita a gennaio 2019 e per fare domande, complimenti e saluti.
E’ un piacere assoluto sentire in concerto Francesco Diodati, e se vi capiterà di incrociarlo per qualche live, non fatevelo sfuggire ed approfittatene: esalta i più esperti del genere e stupisce anche chi non ha mai sentito una sola nota di jazz.
Insomma un live da non perdere.
Batteria – Enrico Morello
Chitarra – Francesco Diodati
Piano e Synth – Enrico Zanisi
Tromba – Francesco Lento
Tuba – Glauco Benedetti