Recensione: Ammore e Malavita – RadioEco

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Dopo sette giorni di festival i critici e gli accreditati si aggirano per il festival come zombie. I film diventano pretesti per sonnellini e i computer si trasformano in mostri da cui fuggire. Il caffè non basta più, serve una scossa. E così, quando tutto sembra non avere fine e le speranze si disperdono nell’umida aria del Lido, arrivano i Manetti Bros. a farti uscire dal torpore della stanchezza. Ammore e Malavita non è un film, è un caleidoscopico ballo compiuto a suon di canzoni neomelodiche, citazioni cinematografiche e pallottole.

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di Elisa Torsiello

Piccola premessa: se non amate i Manetti Bros. allora Ammore e Malavita non fa al caso vostro. Già, perché l’ultima fatica uscita dalla mente dei fratelli Antonio e Marco è la quintessenza della loro produzione artistica, riassunto visivo di tutti quei topoi stilistici che hanno reso unico il loro operato e la loro estetica. Compendio di colori vividi e caleidoscopici, tipici dei videogiochi, movimenti di cineprese atte a non lasciare mai i propri personaggi, e sequenze rassomiglianti a tanti piccoli videoclip musicali, unite armoniosamente da una sceneggiatura forte e sprezzantemente sarcastica: ecco cosa è Ammore e Malavita. Ambientata in una Napoli colorata e lontana dalla solita fotografia fatta di tinte cupe e cineree, il film dei Manetti punta sulla gioia di vivere, sulla comicità alla “cazzimma” tipica della città partenopea.

La storia di Ammore e Malavita è quella di Ciro (Giampaolo Morelli), killer super-addestrato della Camorra che disubbidisce agli ordini del suo boss, Don Vincenzo (Carlo Buccirosso), nel momento in cui questo gli impartisce l’ordine di uccidere l’infermiera Fatima (Serena Rossi), solo perché fattasi testimone della vera natura fatto che Don Vincenzo, che ha simulato la sua morte è in realtà ancora vivo. Dopo aver salvato Fatima, Ciro è costretto a fuggire e difendersi dagli attacchi dei suoi ex compari e di Rosario (Raiz), il suo migliore amico.I Manetti Bros. riprendono dunque il filo di Song’è Napule, e unendo i caroselli di Mario Merola o Nino d’Angelo, alle ambientazioni di Gomorra, senza per questo tralasciare quel pizzico di quella ostentata pomposità da Boss delle cerimonie, creano un musical giocato tra armi e amore. le sparatorie si alternano ritmicamente e in maniera equilibrata ai baci appassionati dei due protagonisti, mentre la musica incalza e le note dal sapore neomelodico accompagnano senza mai esagerare, senza mai risultare fuori contesto. Mal che vada esse aggiungono qualcosa (ergo, ironia e risate) ma mai tolgono. Le canzoni sono il collante con cui due mondi apparentemente distinti e percorrenti strade parallele, (l’amore e la malavita del titolo) si ritrovano a convivere. Ma c’è di più. Vi è un sostrato cinefilo, fatto di omaggi sussurrati, o bellamente esplicitati (grazie soprattutto al personaggio di Claudia Gerini, assuefatta di pellicole e film, e per questo proiezione diegetica di noi spettatori) con cui la pellicola gioca con lo spettatore, lo assorbe ammiccando sul riconoscimento delle citazioni sparse qua e là per la pellicola (da Mission Impossible, a Matrix, fino a 007 ). Sfilata carnevalesca di generi e della loro controparte parodistica, Ammore e Malavita è l’opera coraggiosa che dona di una boccata d’aria fresca un cinema italiano ancora troppo ancorato alle solite commedie farsesche, o ai drammi ricolmo di urla e lacrime. Noi italiani i film belli li sappiamo fare, e se ci impegniamo arriviamo anche a sconfinare in tutti i generi. Ce lo ha ricordato Mainetti con Lo Chiamavano Jeeg Robot, realizzando un’opera che nulla ha da invidiare ai cinecomic americani; ce lo hanno dimostrato Fabio&Fabio con il dramma psicologico Mine, e ora, per l’ennesima volta, ci hanno pensato i Manetti Bros.1501165537484

I fratelli Antonio e Marco hanno fondato la loro carriera sull’assimilazione di opere anglofone e degli stili che le hanno caratterizzate, per poi metabolizzarle e adattarle alla loro indole burlesca, e allo stesso tempo attenta al mondo che la circonda, che amano attaccare con pugni satirici e battute sprezzanti, una su tutte quella sospirata da Ciro (Giampaolo Morelli): “è comm’ a pummarola n’goppa ai spaghetti a vongole: non vale un cazzo”. Dai tempi dei video musicali come Il Supercafone, alle serie televisive (L’ispettore Coliandro) fino al cinema, lo stile dei Manetti non si è mai snaturato, così come non ha mai voluto ridursi a semplice surrogato di qualcosa fatto già da altri. Ammore e Malavita è solo la coronazione di questo stile. uno stile forse a volte un po’ troppo sottovalutato, ma che ora, visto anche il successo di un regista come Edgar Wright che tanto lontano dalla visione estetica dei Manetti non è, può essere riconosciuto anche al grande pubblico.

Ciliegina sulla torta la performance di ogni singolo attore, Buccirosso in primis, e una serie di canzoni che scommettiamo non riuscirete tanto facilmente a togliere dalla testa.

Voto: 8 e 1/2