Ieri, in occasione del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia, si è tenuto in Sala dei Notari il panel “Verità e giustizia per Giulio Regeni”, dove sono intervenuti, tra gli altri, i genitori di Giulio Regeni e Mario Calabresi, direttore de La Repubblica.
Tra Gennaio e Febbraio dell’anno 2016 Giulio Regeni veniva assassinato in Egitto.
Rapito il 25 gennaio 2016, ritrovato morto il 3 Febbraio in un fosso nella periferia del Cairo. Il suo corpo mutilato mostrò fin da subito segni evidenti di tortura: abrasioni, contusioni, lividi, fratture ossee, costole rotte, denti rotti, coltellate multiple, tagli, bruciature di sigarette. L’esame autoptico rivelava un’emorragia cerebrale e una vertebra cervicale spezzata a seguito di torsione del collo che sarebbe la causa ultima della morte.
Una morte dolorosa, crudele, efferata. Ma chi era Giulio Regeni? Regeni era un dottorando italiano di soli 38 anni dell’Università di Cambridge, cresciuto a Fiumicello: ancora minorenne si trasferì per studiare all’Armand Hammer United World College of the American West (Nuovo Messico – Stati Uniti d’America) e poi nel Regno Unito.
Vinse due volte il premio “Europa e giovani” (2012 e 2013), al concorso internazionale organizzato dall’Istituto regionale studi europei, per le sue ricerche ed approfondimenti sul Medio Oriente.
Dopo aver lavorato presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale, stava conseguendo un dottorato di ricerca presso il Girton College e si trovava in Egitto per svolgere una ricerca sui sindacati indipendenti egiziani presso l’Università Americana del Cairo. In alcuni articoli aveva descritto la difficile situazione sindacale dopo la rivoluzione egiziana del 2011.
I servizi di sicurezza del governo di Abd al-Fattah al-Sisi sono fortemente sospettati di coinvolgimento nella sua uccisione, potendo nutrire le ragioni di un eventuale movente nell’attività di ricerca di Regeni. La polizia del Cairo aveva già svolto indagini sul ragazzo nei giorni 7, 8 e 9 gennaio su esposto del Capo del sindacato dei venditori ambulanti.
I media e il governo dell’Egitto hanno respinto l’accusa di coinvolgimento nell’omicidio, sostenendo invece che gli agenti segreti sotto copertura appartenenti ai Fratelli Musulmani avrebbero effettuato il crimine al fine di mettere in imbarazzo il governo egiziano e destabilizzare i rapporti tra Italia ed Egitto.
Nel corso dell’ultimo anno la famiglia, sulla spinta di Amnesty International, ha portato avanti la campagna #veritàpergiulio per cercare di coinvolgere il più possibile l’opinione pubblica nella lotta per la verità contro il depistaggio che il governo egiziano sta tentando di creare sul caso: in Egitto si è cercato di descrivere l’omicidio di Regeni come delitto passionale o addirittura un semplice incidente stradale, tutte ipotesi ben oltre la verità: “Il corpo di Giulio parla”.
Come continuano a dire i genitori “la verità va strappata un pezzo alla volta”, in 14 mesi qualcosa è stato fatto. In questa situazione l’atto più eversivo è chiamare le cose con il loro nome: Giulio Regeni non è morto ma è stato assassinato, non è scomparso, ma è stato sequestrato.
La resistenza, la sete di giustizia e la lucidità della famiglia è esemplare ed è qualcosa che mi resterà d’esempio per molto tempo.
La mamma manda un messaggio alla stampa: oltre alla tragedia è stato compiuto un vero saccheggio della figura di Giulio.
La lotta che i genitori stanno combattendo richiede un impegno di 24 ore, passa per il soggiorno di casa loro il giorno e si annida di notte: sono stati 14 mesi surreali e tragici, ma nonostante ciò la mamma ed il padre trasmettono una forza straordinaria, piena di speranza e fiducia nella verità.
Tutti si devono impegnare, parlare e rompere il silenzio, questo l’invito della famiglia. Giulio si è difeso da solo con il suo sangue, con le sue ricerche, con la sua dedizione alla pace. Giulio si difende da solo con il suo corpo che è stato torturato per 8 giorni e 8 notti. Ciò che fa perdere davvero fiducia è che Giulio è stato tradito da chi si fidava.
A Il Cairo tutti coloro che si sono avvicinati a Giulio hanno pagato: ciò rappresenta un piccolo risarcimento per l’Italia e per Giulio, che vivrà finchè crederemo nella giustizia e nella pace. Se in 14 mesi non hanno archiviato il caso è anche perchè si avverte la sete di verità: abbiamo bisogno di sapere cosa è successo, chi, perché.
Lo dobbiamo a tutti i Giulio d’Egitto.
Elena Alei per RadioEco