60 anni d’Europa: siamo tutti black bloc

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Osservatore Televisivo – L’attentato a Londra scuote l’opinione pubblica italiana (e non), prossima a riversarsi in piazza sabato a Roma per i cortei anti-Euro. Politici sul piede di guerra: la paura dei “black bloc” è usata come arma anti-dissenso.

Osservatore Televisivo - Le bandiere dell'Unione Europea e l'assalto dei Black bloc

Osservatore Televisivo – Le bandiere dell’Unione Europea e l’assalto dei Black bloc

Chissà cosa avrebbero proferito i “padri costituenti” dell’Unione Europea sullo stato attuale del blocco UE. Da Altiero Spinelli, tra gli ispiratori convinti del Manifesto di Ventotene, fino ad Antonio Segni e Konrad Adenauer, firmatari invece dei Trattati di Roma. 60 le candeline spente dal quel fatidico 25 marzo 1957 che ci regalò un Governo della “piccola Europa” (cit. Libero Lenti, Corriere della Sera), passato dall’essere visto come uno splendido benefit ad impiccio vero e proprio: un’invadenza totale ed egemonica degli Stati Nazionali. Più di mezzo secolo tempestato da guerre limitrofe ma distanti abbastanza da farci credere all’idea di un’Europa come “bolla inattaccabile”, fustigata semmai da coloro che entro i suoi confini già risiedevano: dai golpe di stato dei Colonnelli in Grecia a quelli “tentati”, o millantati da operetta, in salsa italiana; per non parlare della Strategia della tensione, delle bombe, di Gladio. Insomma di tutto quello che siamo stati e di cui ci siamo dimenticati di essere.

La settimana televisiva gira tutta intorno ai fatti di Londra: il suv scuro lanciato a pazza velocità sul Westmister Bridge, uomini e donne travolte, lo schianto contro i cancelli del Parlamento e il conseguente vis a vis tra il guidatore (tale Khalid Masood, al secolo Adrian Russell) e le forze dell’ordine all’arma bianca. Per un conteggio finale di 5 morti e 75 feriti. Si ritorna quindi a parlare di “guerra di religione”, di immigrazione ma tutti fanno il verso dell’urlo di Munch nel vedere l’anagrafica dell’attentatore: britannico, nato nella Conte del Kent. A far capolino, dall’arena de L’Aria che tira, è il sorriso istrionico di Pippo Civati, che impiega un nanosecondo a delegittimare ancor di più il proprio consenso: “L’immagine più bella vista a Londra è quella di chi presta le cure all’attentatore”. Porgere l’altra guancia è, del resto, uno dei dettami cattolici assurto a mantra da molti ex della minoranza Dem. L’approccio soft è però isolato, a La Gabbia Open va di scena uno scatenatissimo teatrino con protagonisti Stefano Fassina e l’economista De Nicola che si sfidano a colpi di inflazione, deflazione, Euro e chi più ne ha più ne metta: “Siamo di fronte al fallimento del Neo-Liberismo” e pronta risposta “Siamo di fronte al discorso delle Piramidi”; con la chiosa di Caprarica: “In Italia, la colpa è di una classe dirigente di pescecani”.

L’unico a mettersi in gioco, anima e corpo, è invece Corrado Formigli che torna nuovamente a Mosul realizzando un reportage che profuma di giornalismo vero: “C’è una ritorsione in corso in Occidente: combattenti, lupi solitari, pazzi scatenati, cellule dormienti che si accendono e si attivano già cittadini europei”. Ed è da questa sensazione che si snoda la paura che molti cittadini sembrano avere in previsione dei quattro cortei attesi a Roma per l’anniversario dei Trattati. Detto alla Telese: “Non oso immaginare cosa possa succedere tra i vicoli di Roma se dovessero comparire i black bloc”. Il “blocco nero”, incistato da infiltrati, sfaccendati, casinisti, tutti intenti a cambiarsi e scambiarsi casacche e rendersi irriconoscibili. Saranno oltre 3000 gli agenti di polizia con tanto di cecchini sui tetti della Capitale, come ai tempi di Genova, dove a farne le spese furono i manifestanti pacifici o chi alloggiava alla Diaz “macelleria messicana”, mentre “comodi comodi” gli uomini in nero devastavano ogni bene in nome di una ragione sconosciuta.

Travaglio, allievo di Montanelli, in studio a Otto e mezzo riunisce il tutto mixando passato e presente: “I black bloc, dipinti come un esercito di migliaia di persone, sono invece poche centinaia che come i carri di Mussolini ci ritroviamo in tutte le manifestazioni dove c’è da far casino – e aggiunge – Alle volte c’è da pensare che qualcuno auspichi che arrivino. La storia della violenza di piazza ci racconta che molto spesso il terrorismo è molto funzionale ai governi per destabilizzare per stabilizzare“. L’Onorevole Meloni – inquadrata mentre alza lo sguardo contrariata – arringa immediatamente e per direttissima ci offre una “rivisitazione storica” del presente divenuto neanche passato: “I black bloc non esistono. Non ci sto al fatto che si vogliano far passare come agenti di polizia infiltrati. I black bloc si sa benissimo chi sono: coloro che organizzano la manifestazione, sono i centri sociali, sono italiani. Conosciamo nomi e cognomi, sono rivoluzionari da salotto, figli di papà che manifestano contro la globalizzazione o la Lega e danno fuoco alle macchine”. Ecco, ci verrebbe da chiedere alla leader di FdI perché non li denuncia per nome e per cognome tutti alle forze competenti questi “lei” dicenti black bloc, visto che “li conosce” così bene. La sensazione invece è che non sarà affatto facile individuarne qualcuno, mischiati a dovere nella folla, schedati ma non seguiti dall’intelligence, ovunque eppure mai da nessuna parte, praticamente invisibili e ubiqui: praticamente una fusione tra Motoko Kusanagi di Ghost in the Shell ed Ezio di Assassin’s Creed. Alla fine, magari guardandoci allo specchio, scopriremo di essere tutti tali, anche perché nel “bestiario dell’opportunismo” di potere in quanto a tratti somatici poco o nulla viene indicato.        

Stefano Mastini