Siamo tornati a teatro, precisamente in quel bellissimo scrigno che è il teatro del Giglio di Lucca. Ci ha accolto anche questa volta un appuntamento di prosa incentrato su Pasolini, “Porcile”.
Se la scorsa settimana lo spettacolo con Neri Marcorè Quello che non ho aveva solamente tratto ispirazione da alcune opere di Pasolini, questa volta lo spettacolo Porcile ha portato in scena – nel suo insieme – l’omonimo dramma pasoliniano con la regia di Valerio Binasco.
Il testo teatrale del 1965, forse meno noto della sua versione cinematografica del 1969, è un dramma in undici episodi che ha fatto molto scalpore all’epoca della sua pubblicazione e continua ancora oggi a portare temi di scottante attualità all’attenzione del pubblico.
La produzione del Teatro Metastasio Stabile di Prato e del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, con la collaborazione di Spoleto58 Festival dei 2Mondi, ha debuttato in Umbria nel 2015 e nella sua prima tournée ha avuto un ottimo riscontro di critica e pubblico. Lo stesso è avvenuto – meritatamente – anche in Toscana.
Un grande successo per il regista Valerio Binasco e per il grande cast con cui ha lavorato: Valentina Banci, Francesco Borchi, Fulvio Cauteruccio, Pietro d’Elia, Elisa Cecilia Langone, Mauro Malinverno, Fabio Mascagni, Franco Ravera. Tutti gli attori nella messa in scena danno prova di grande studio donando all’opera pasoliniana una recitazione non “naturale” e fuori dagli schemi, prova di quell’estraniamento tanto caro a Pasolini. Magistrale.
La scrittura dello spettacolo riesce a dare un ritmo tagliente e vivace a un testo di per sé molto frammentario. Alcune scelte riescono anche ad attualizzare ancor di più il testo rispettando la fonte originaria. Racconta il regista: «Nel dialogo tra Klotz e Herdhitze (due affaristi senza scrupoli, ndr) ho aggiunto una battuta: “tu sei l’uomo della finanza, io quello dell’industria”». Un riferimento contemporaneo che riesce a lavorare sull’attualizzazione della storia e che riscontra nel pubblico grande coinvolgimento.
Anche il motto ripetuto dai personaggi come un mantra: «Siamo nella Germania di Bonn dove si fabbricano lane, formaggi, birra e bottoni. Pure cannoni… ma solo per l’esportazione!» aiuta a immergere lo spettatore nella cruda realtà sociale ed economica dei nostri tempi, raccontata proprio così, con sfumature visionarie, quasi cinquant’anni fa dal grande Pasolini.
La trama (attenzione spoiler!)
Nella Germania post nazista Julian, rampollo «né ubbidiente né disubbidiente» di una coppia dell’alta borghesia industriale tedesca, conduce un’esistenza piatta e priva di ideali. Ida è una giovane ragazza che lo ama. Il padre cerca di convincerlo a sposarla ma Julian non vuole. Nasconde un perverso segreto: ogni giorno entra nella stalla e si concede ai maiali con rapporti anali.
Mentre Julian – inascoltato da chi gli sta intorno – cade in uno stato di coma, il padre stringe accordi per formare una società finanziaria (l’industria che diventa finanza) con un suo vecchio compagno d’armi diventato ricco sulla pelle degli ebrei perseguitati e torturati durante la seconda guerra mondiale.
Mentre nella villa di famiglia si festeggia alle nozze finanziarie che portano più denaro a chi ha già tanta ricchezza, Julian si risveglia dal coma e decide, una volta per tutte, di andare al porcile e farla finita facendosi divorare dai suini. L’episodio, di cui riescono a commuoversi solo i poveri contadini immigrati italiani che vivono nella campagna intorno alla villa della famiglia di Julian, rappresenta la decadenza giocosa e tragica allo stesso tempo di una famiglia che, per la sua dura e spietata tradizione dispotica, non riesce ad ascoltare i propri figli, lasciandoli divorare in un rito cannibalizzatore, sinonimo della nostra società malata.
Solo una cruda denuncia dell’attuale società? Le interpretazioni da dare a un testo così complesso e a un’opera così sublime sono infinite. Non resta che tornare a teatro, magari a rivedere proprio questo bellissimo Porcile di Binasco perché non si smette mai di scoprire e capire soprattutto quando a farcelo fare sono grandi maestri. E per maestri non si intenda solo Pasolini ma anche il bravissimo Binasco, i suoi grandi attori e tutta la macchina teatrale che ci ha regalato questo spettacolo riuscitissimo.