Roberto Baggio compie 50 anni. Lode a un fuoriclasse dentro e fuori dal campo che ha saputo emozionare e unire il calcio come nessuno altro nella storia.
Cremonini lo ha reso protagonista di una delle sue frasi più riuscite e vere: “Da quando Baggio non gioca più, non è più domenica”. Perché con lui la domenica aveva un senso diverso e più affascinante. Perché non era “macchiato” da una maglia in particolare – tolta quella azzurra della nazionale che ha sempre amato e inseguito contro tutto e tutti. Roberto Baggio era il giocatore di tutti. Una presenza insieme familiare e divina, proprio come il suo codino. Una figura creatrice di Luce e Fantasia che emanava un senso di malinconia perenne. Forse per via di quelle maledette ginocchia che lo hanno tormentato per tutta la carriera e che ha sempre dovuto combattere. Forse per la diffusa sensazione di non essere mai stato davvero amato dai suoi allenatori – tranne da Mazzone chiaramente (inserì una clausola contrattuale che gli dava la possibilità di rescissione dal Brescia in caso di esonero del tecnico romano).
Professionista esemplare e grande uomo di rara umiltà (perché solo un grande uomo può decidere di festeggiare i propri 50 anni in mezzo alla sofferenza di Amatrice) che anche grazie al buddismo ha trovato la forza di non arrendersi mai ai mille infortuni, Roberto Baggio ha emozionato e unito il calcio italiano – e più in generale il calcio – come pochi altri atleti hanno saputo fare. Ha vinto poco rispetto a quello che la sua classe avrebbe meritato – due scudetti (Juve e Milan) e una Coppa Uefa con la Juve i suoi titoli piú prestigiosi. Ma forse é anche per questo che l’investitura popolare ricevuta ha un significa ancora maggiore. Ha saputo slegare la propria grandezza ai trionfi sul campo. È indiscutibilmente il piú grande giocatore italiano di tutti i tempi.
Fiorentina, Juventus, Milan, Bologna, Inter e Brescia dopo gli inizi nel Vicenza. Ovunque sia andato Roberto Baggio ha ammaliato le platee cosi come colpì Maradona dopo quel coast to coast memorabile al San Paolo proprio sotto gli occhi del Pibe de Oro. Un affetto che ha cancellato quell’unica macchia lasciata sul prato di Pasadena nella finale mondiale del 1994 contro il Brasile e che lo stava spingendo ai mondiali di Corea e Giappone del 2002 quando sarebbe stato indispensabile nonostante i 35 anni e un recupero record per l’ennesima rottura al ginocchio. Perché giocatori come Roberto Baggio anche “con una gamba sola” (cit.). Perché giocatori come Roberto Baggio sanno annullare con la semplicità quella distanza – che spesso percepiamo così incolmabile – tra noi e una leggenda dello sport.
Giacomo Corsetti
@giacomocorsetti