Reduci dalle classifiche di fine anno, il 2017 non è neanche iniziato che già siamo stati inondati da tantissime nuove uscite discografiche che ci stanno facendo impazzire di gioia. Però visto che la gioia è un po’ difficile da metabolizzare per la sottoscritta, oggi si stoppa e si torna indietro nel tempo, al 1970 per parlare dell’artwork di “The Madcap Laughs” e di quel genio di Syd Barrett.
Se avete molti amici su Facebook che sono fan dei Pink Floyd, avrete di sicuro notato che il 6 gennaio, anniversario della nascita di Barrett, i link su di lui si sprecavano. Sulla mia home Syd era ovunque, e dal momento che le mie preferenze ai componenti della band sono rivolte soprattutto a lui e a Waters, eccoci qui a parlare dell’artwork del primo disco da solista del diamante floydiano. Siamo nel periodo in cui Syd è stato già allontanato dai Pink Floyd a causa dalla sua instabilità dovuta soprattutto alla depressione dell’artista e all’eccessivo consumo di acidi, accoppiata che gli causava problemi sempre più frequenti, come per esempio l’isolamento, le amnesie che ormai facevano parte della sua quotidianità. Anche prima dell’abbandono ufficiale, Barrett era sempre più assente, anche quando non lo era fisicamente. Basti pensare che a un concerto si limitò a pizzicare ogni tanto le corde della chitarra, fissando il vuoto, o altre volte in cui disertava sia le prove che i live, senza ovviamente avvisare. I Pink Floyd pensarono anche di sciogliersi, questo almeno prima di capire che con Gilmour potevano comunque andare avanti. Nonostante la mente brillante che si nasconde dietro gli esordi dei Pink Floyd non fosse più in grado di stare dietro alla dinamica della band, aveva ancora molto da dire, cosa di cui si accorsero soprattutto gli amici, che lo aiutarono a comporre, realizzare e soprattutto a focalizzarsi su quello che sarebbe diventato il suo primo disco da solista. Non fu semplice, la EMI stava per mollare il disco, a causa dell’atteggiamento sempre più distaccato di Syd, il quale dopo settimane di lavoro aveva registrato suoni distorti, aggiungendone sempre di nuovi e senza mai completare l’album. È a questo che intervengono Roger Waters e David Gilmour che aiutano Syd a finire The Madcap Laughs, che prenderà il nome da un verso di una canzone, Octopus (The madcap laughs at the man on the border). The Madcap Laughs è un disco allucinato, ma che mantiene a sorpresa una certa coerenza, un filo conduttore, l’oscurità che Syd Barrett stava vivendo, incompreso dal mondo, anche da quel mondo di artisti che lo aveva osannato come un genio. Il disco che è stato creato con la partecipazione di vari musicisti, è un gran bel disco, che ci regala un Barrett ancora geniale, ancora in grado di sviluppare brani come Terrapin, I Love You, Octopus e Long One. Il Syd di The Piper At The Gates Dawn non è svanito nel nulla, è ancora dentro di lui, la creatività di Barrett esiste ancora, il problema era che combatteva con il resto dell’artista ormai completamente lontano dalla realtà.
L’artwork di The Madcap Laughs è una fotografia realizzata dal fotografo delle rockstar ovvero Mick Rock. Mick ha lavorato con tantissime icone della musica di quegli anni come David Bowie e Lou Reed, ed era solito a lavorare con artisti, ma quello che si trovò di fronte era del tutto nuovo. La session di fotografie per l’artwork fu fatta all’interno dell’appartamento di Syd Barrett, che condivideva con Duggie Fields, un pittore ancora alle prime armi, che tuttora vive e lavora all’interno di questa casa, a Earls Court Square. Fields non era esattamente uno sconosciuto, anzi aveva frequentato i Pink Floyd già tempo prima, e nel ’69 Barrett gli chiese se aveva voglia di dividere un appartamento. Entrambi gli artisti erano concentrati a creare dipinti (Syd fu anche pittore), con la differenza che Fields era diligente, Barrett cambiava idea in continuazione, non riusciva a mantenersi costante, lucido la maggior parte del tempo. Stava quasi sempre a letto, sul materasso che aveva collocato sul pavimento, vedendosi con la fiamma del momento, Iggy, senza concludere tanto, e invidiando l’artista nella camera a fianco. È proprio questo materasso gettato a terra, Iggy, le pochissime cose che Barrett aveva nel suo appartamento, che saranno al centro dell’artwork e della photo session in generale. Mick Rock non era alle prime armi, ma non aveva ancora realizzato le fotografie e gli artwork dei dischi che lo avrebbero poi reso famosissimo, e soprattutto non aveva ancora lavorato con David Bowie, il quale farà della sua immagine un punto di forza. Syd invece, come tanti altri musicisti, al contrario del resto dei Pink Floyd, che agli artwork daranno molta attenzione, non prestava molto attenzione all’aspetto, alla promozione, e per questo Mick lo ricorda quasi sempre passivo durante la session, come se in fin dei conti non fosse neanche lì per il suo disco, la sua prima creazione da solista. Riguardo al lavoro con Syd per l’artwork di The Madcap Laughs, album che ancora in quei giorni non aveva neanche un nome, Mick disse “Non so che Syd necessariamente preso più droghe di un sacco di altre persone che ho conosciuto in quei giorni […] La psiche di Syd era molto fragile […] Syd è andato troppo veloce, troppo presto, psicologicamente e creativo. “ Syd si è bruciato, lo sappiamo tutti, ma la sua creatività era ancora viva anche se addormentata e ogni tanto tornava a luccicare nei suoi occhi.
Per l’artwork di The Madcap Laughs, Barrett aveva dipinto il pavimento della sua camera a strisce arancio e viola, quindi forse poi non era così distaccato dal lavoro di Mick Rock, che però lo trovò a letto il giorno delle foto, nonostante fosse pomeriggio. Mick si ritrova davnti questa scena: Syd Barrett, il geniale fondatore dei Pink Floyd è ancora in mutande, mentre in cucina gira nuda la sua ragazza di allora, che si intravede anche nelle foto realizzate da Rock, e nell’artwork del retro dell’album. Avevano suggerito a Rock di fotografare Syd Barrett come un folle, far leva sulla condizione di artista fuori dagli schemi. Mick Rock non fu contento del suggerimento, anche se alla fine ci troviamo un Barrett in una stanza vuota, spettinato, con gli occhi truccati di matita nera, che, se non lo fanno sembrare eccessivamente pazzo, ne confermano la fragilità che lo stesso Mick aveva da subito avvertito. L’appartamento di Syd non è pieno di mobili, i pochi che ci sono, li ha spostati, così Mick Rock si ritrova una stanza con un pavimento dipinto a strisce, un giradischi, le chitarre appoggiate al muro, Syd e Iggy The Eskimo (così era chiamata la ragazza del musicista) rigorosamente nuda. Non c’è altro. Nell’artwork che viene realizzato per il front dell’album non c’è neanche Iggy, solo Syd. È un artwork spoglio, senza fronzoli, basta solo la presenza di Barrett a riempirlo. Non ci sono chitarre, niente, l’unico oggetto è un piccolo vaso con all’interno qualche fiore, messo per terra, vicino a Syd che non sta né in piedi, né seduto sul pavimento, ma in una posizione di tensione che, se vogliamo, rispecchia quella mentale in cui ormai viveva. Né pazzo, né lucido. Syd Barrett ormai non era niente di classificabile, non lo era almeno per 24 ore piene, proprio come l’artwork potrebbe alludere. Dopo The Madcap Laugh, Syd Barrett comporrà un altro disco prima di sparire dalle scene. A lui sono dedicate alcune delle canzoni più belle dei Pink Floyd, che proprio a lui devono tutto. Senza quel folle, quell’artista fragile che non aveva capito bene come si facesse ad essere artisti, che si è lasciato andare in un vortice senza ritorno che avrebbe messo a nudo, tutte le sue debolezze, anche quelle che non sapeva di avere, senza di lui, non avremmo avuto alcune delle pagine più belle della storia della musica. Syd Barrett era quello che tanti etichettano come un artista tormentato, maledetto. Vero. Ma prima di tutto era semplicemente una persona che non avrebbe mai potuto vivere senza provare emozioni in modo violento e completo, cosa che l’ha poi lentamente portato a sentire sempre di meno, fino a estraniarsi completamente dal mondo.
#SydBarrett – The Madcap Laughs session outtake, London, 1969 #fbf
Una foto pubblicata da Mick Rock (@therealmickrock) in data: