“Il 4 dicembre ci giochiamo l’Italia, se le cose vanno male l’esito sarà imprevedibile”: è la frase sulla bocca di tutti gli italiani a meno di due settimane dal referendum. Ma queste esatte parole non sono state pronunciate da un normale cittadino a cui sta a cuore il destino democratico del proprio paese, ma dal governatore della Campania, Vincenzo De Luca, che per completezza intellettuale ha aggiunto “a me interessa che manteniamo la Campania unita sugli interessi fondamentali, al di là delle bandiere di partito”.
Questi frammenti non sono tratti da un’ordinaria dichiarazione rilasciata a qualche testata giornalistica, bensì da un monologo- reso pubblico dal FattoQuotidiano- di 25 minuti tenuto da De Luca a porte chiuse martedì 15 novembre all’Hotel Ramada di Napoli, per il diletto di trecento amministratori locali campani. A quali interessi fondamentali è chiamata a rispondere la sala dei 300? Naturalmente alla vittoria del Sì. Ma questa, al contrario di come i più ingenui potrebbero pensare, non è inseguita per coincidenza di veduta con il partito madre, “noi non abbiamo mai avuto un accidente di niente, né coi governi di centrodestra, né di centrosinistra”: sottolinea l’ex sindaco di Salerno, per evitare qualsiasi tipo di fraintendimento. La priorità per il momento è portare quanti più cittadini del proprio comune a votare, anche al caro prezzo di offrire cene e gite in barca, non come risposta al diritto e al dovere di recarsi alle urne, ma per pura galanteria e riconoscenza verso il grande benefattore che, a detta di De Luca, ha indirizzato alla regione “fiumi di soldi: 2 miliardi e 700 milioni per il Patto per la Campania, altri 308 per Napoli, nonostante qualche squinternato. Ancora 600 milioni per Napoli. Che dobbiamo chiedere di più?“.
Nel frattempo, mentre la bomba mediatica esplode, il premier prende le distanza dai metodi deluchiani ma ne esalta l’efficacia: “Non condivido i metodi di Vincenzo De Luca, ma se tutto il Sud fosse stato amministrato come Salerno, avremmo un punto di Pil in più”. “Dietro ogni scemo c’è un villaggio”, si potrebbe dire, intendendo non l’incomunicabilità e il disagio del protagonista dell’epitaffio di Lee Masters, messo in musica anche dal Faber De Andrè. Qua si tratta dell’incapacità comunicativa- non solo quella- e la completa assenza di pudore di individui chiamati a rappresentare la moltitudine e a deciderne le sorti, ai quali il villaggio perdona tutto, perfino frasi di questo tipo. In fondo, se in campo internazionale l’Italia ha fama di essere “un piccolo e volgare paese”, la colpa non è della Costituzione, la quale ha solo meriti.
Costantino De Luca per Radioeco