La Bellezza del Greco, una lingua geniale #pbf2016

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La Bellezza è l’interrogarsi sul significato delle cose e riconoscerne il senso. Significa ricercare continuamente le funzioni delle entità a noi circostanti e le nostre relazioni. La bellezza porta all’amore condiviso con il dolore e ha valore in sé stessa, non in fini utilitaristici. Nell’era del Trumpismo e dell’esaltazione della volgarità c’è spazio per La Bellezza? A quanto pare no, se si prende in considerazione il pensiero standardizzato sulle materie umanistiche, da sempre sue protettrici.

imageDa decenni l’istruzione è considerata un investimento futuro. La scelta del percorso di studio dunque non può ammettere errori. Devono essere eliminati tutti quei percorsi di formazione che non portano contributo al progresso. A farne le spese sono le discipline umanistiche, ovvero lettere, storia dell’arte, filosofia e via discorrendo, le quali- a detta degli economisti- sono studiate soltanto dai ricchi o da chi non ha sviluppato alcuna inclinazione personale e nessuna intraprendenza competitiva, fondamentale per campi come l’ingegneria, la matematica e la finanza. All’interno di questo clima caldo, da anni si è accesa la discussione sul perché tenere ancora aperto il liceo che in passato era considerato come “l’esperimento di pedagogia più geniale e più fruttuoso che un governo occidentale abbia mai messo in piedi”: il Liceo Classico.

Il fuoco che balza e che accende la fiamma della discussione è la domanda: ” a cosa serve studiare il greco“? Cosa serve questa lingua morta e sepolta in manuali di grammatica e polverosi vocabolari? Quando si parla dell’insegnamento del greco nei licei sembra quasi che il degrado del Paese, l’inconcludenza dei politici, la poca competitività delle aziende, la credulità della gente nascano da qui. A gettare altra benzina sull’argomento, ci ha pensato Andrea Marcolongo col suo libro “La Lingua Geniale, 9 ragioni per amare il greco antico”. La donna che sussurrava a Renzi- come molti la etichettano per il suo passato di ghostwriter del premier- è intervenuta al Pisa Book Festival 2016 per rispondere alle curiosità di Fabio Galanti e Laura Montanari di Repubblica Café.

Puntuale, inevitabile e scontata è arrivata la domanda bollente, alla quale la Marcolongo ha risposto con una citazione di Virginia Woolf:” è al greco che torniamo quando siamo stanchi della vaghezza, della confusione e della nostra epoca”. È stato questo il motivo per cui ho intrapreso questo viaggio di ritorno nel greco; ero stanca della vaghezza del modo di dire e di vedere la vita di oggi”. Il romanzo, di posizione poco accademica, riporta l’atto d’amore dell’autrice verso la visione del mondo che gli antichi Greci esprimevano con la loro lingua. Dai tre generi (maschile, femminile, neutro) ai tre numeri (singolare, plurale e duale) per finire al modo del desiderio (ottativo). Quello che viene difeso non è il torturante studio mnemonico delle declinazioni e delle coniugazioni, ma l’utilità inutile di questa lingua. Lo studio del Greco antico è inutile, non ha un suo definito campo di attualizzazione, lo scopo non è quello di parlarlo. Al contempo è utile perché sviluppa un metodo applicabile universalmente. In tutti gli ambiti, la ricerca consiste nel tentativo di trovare risoluzioni ai problemi. Se si cadere in errore, lo si individua e si procede alla sua eliminazione, permettendo di abbandonare la caverna della nostra ignoranzza. “Gli anni del liceo- conclude Andrea Marcolongo- a contatto con le lingue classiche, sono anni di palestra al fallimento, che entreranno in soccorso ogni qual volta che nella vita si presenteranno difficoltà ben più gravi di un aoristo irregolare da tradurre”.

Costantino De Luca per Radioeco