È nelle sale da qualche settimana, ma prima di consigliarvelo abbiamo voluto aspettare l’arrivo dell’autunno. American Pastoral è un film da gustarsi come un tè delle cinque, da soli o in compagnia, con una bella scorta di fazzoletti in tasca. Questo film vede Ewan McGregor nei panni di attore e, per la prima volta, di regista e si basa sull’omonimo romanzo di Philip Roth, vincitore del premio Pulitzer.
A una cena di classe liceale, dopo 45 anni, lo scrittore Nathan Zuckerman rincontra l’amico Jerry Levov. Fra una chiacchiera e l’altra, i due finiscono a parlare di Seymour, il fratello di Jerry, soprannominato da tutti “lo svedese”. Un uomo sicuramente invidiabile: bello, ricco, realizzato e sposato con Miss New Jersey. Il sogno della pace e l’odio per la guerra nascondono l’ipocrisia insita a una prospera famiglia borghese come quella in qui si ritrova a vivere Marry, la figlia dei due. Quel benessere americano lei lo disprezza e non lo accetta, proprio mentre innocenti muoiono in Vietnam. Non capisce perché i genitori non facciano nulla per fermare la guerra, siano impassibili alla politica e imprigionati nel loro perbenismo. La lotta per un ideale diventa un crimine e il delicato equilibrio familiare si distrugge quando si scopre che Marry ha fatto saltare in aria l’ufficio postale del paese uccidendo nell’attentato terroristico un uomo.
Il dramma è usato per indagare il complesso mondo dei rapporti umani e il film, attraverso una cornice narrativa, raccontare la storia di Seymour Levov alternando iniziali primi di felicità d un vortice di dolore senza via d’uscita. La luce, i toni caldi e i paesaggi bucolici della prima parte scompaiono e lasciano gradualmente posto a colori cupi, a un ritmo accelerato e al buio nella seconda metà. Tremendamente drammatico, non ritraspone il pathos del romanzo, ma sublima l’essenziale per un racconto visivo che commuove e fa riflettere. Il tono di pesantezza – evidenziato dalla cromaticità e dall’eccellente colonna sonora di Alexandre Desplat – è sicuramente adeguato o quantomeno necessario.
Il film tiene incollato lo spettatore a ogni singola scena: la potenza narrativa della storia è talmente forte che l’analisi fotografica scompare e si perdonano i vari errori di McGregor alla regia, che tenta un esordio troppo ambizioso. Ma la recitazione quasi impeccabile dei protagonisti (un cast stellare: da Jennifer Connelly a Dakota Fanning) tiene viva l’attenzione. Lo spettatore è incerto e catapultato in un universo in cui tutti i punti di vista sono plausibili e schierarsi diventa difficile. Il crollo della perfezione, la tragicità dell’accettazione, il pregiudizio delle opinioni: American Pastoral affronta tutto questo, insegnandoci che l’estremismo è sempre sbagliato, il menefreghismo è controproducente e che la vita non guarda in faccia nessuno. In fondo esistono i genitori di terroristi, e i figli a volte non sono prodotti di una famiglia, ma mine vaganti che abitano con le loro scelte “quel periodo di tempo che va dalla nascita alla morte” come dice la piccola Marry definendo la vita.
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Alessio Foderi per RadioEco