L’autunno è decisamente durato troppo poco, siamo precipitati di colpo nell’inverno pisano, ma non disperate, Demography non si lascia spaventare da qualche grado in meno. Facciamo un salto a San Francisco per ascoltare i Thee Oh Sees e poi torniamo subito in Europa con i Coldcut.
Iniziamo con quello che si potrebbe definire un pezzo di storia ormai. Attivi dal 1997, i Thee Oh Sees, fanno parte di quella grande parte che è il garage rock americano. Con diversi cambi all’interno della formazione, i Thee Oh Sees hanno onorato quasi vent’anni di carriera sperimentando appunto garage, ma addentrandosi anche nel mondo della psichedelia. An Odd Entrances è il titolo dell’album che uscirà il 18 novembre per la Castle Face Records. Ad anticipare l’uscita della nuova fatica discografica, è il singolo The Poem. Brano che sembra quasi composto nel periodo di Sgt. Peppers Lonely Hearts Club Band, o The Piper at the Gates of Dawn, riporta i Thee Oh Sees alla psichedelia già sperimentata anni fa. Senza riscomodare mostri sacri appena citati, bisogna dire che le atmosfere sono esattamente quelle degli anni ’60, una traccia onirica in cui spunta la voce di John Dwyer, cantante dei Thee Oh Sees, in un modo che quasi disturba l’armonia creatasi con gli strumenti. Che altro ci aspetta da questo disco non ci è ancora dato saperlo, ma le premesse non sembrano poi essere malevole. The Poem è un pezzo che oggi è difficile trovare, ma che va, funziona anche molto bene.
Di tutt’altra pasta il brano che ci porta dritti in UK. Jon More e Matt Black sono i componenti del duo Coldcut, oltre ad essere i fondatori di Ninja Tune, e sono tornati con un nuovo singolo, Only Heaven. Una delle tante caratteristiche dei Coldcut è sempre stata la capacità di avvalersi di collaboratori adatti al risultato che desiderano per la loro musica. Per Only Heaven è stato scomodato Switch, già collaboratore di Diplo, produttore di M.I.A. e Beyoncé, tanto per fare qualche nome a caso. Oltre a Switch, ha preso parte al progetto firmato Coldcut anche Roots Manuva, rapper britannico che da tempo collabora con diversi esponenti della musica elettronica.
Il pezzo parte con un carillon triste e segue con la voce femminile leggera che diventerà il refrain del brano, e apre la scena a Roots Manuva, il quale insieme a tutto il resto rende il pezzo disperato, e allo stesso tempo seducente. Il pezzo è nel complesso un bell’ascolto, e la voce di Manuva che parte sopra al suono del carillon, riesce a renderlo una bomba. Ascoltate un po’ qui, il brano parla da sé.