Il massacro di matrice terroristica di San Bernardino, California, del Dicembre 2015, oltre a portare con sé un bilancio di 14 morti e oltre 20 feriti, ha causato uno dei casi più spinosi che sono andati a toccare il rapporto tra privacy e sicurezza.
Dopo l’uccisione dei due attentatori, la polizia è entrata in possesso del loro iPhone, che risultava bloccato, e per prima cosa ha impedito il backup automatico dei suoi dati sul cloud. Tale operazione si è rivelata però particolarmente deleteria, quando i tentativi di accedere ai dati sul dispositivi non hanno dato frutti, e si è instaurato un braccio di ferro legale tra l’FBI e la Apple, con la quale si sono schierati numerosi altri operatori del settore.
Su questo tema verteva il panel tenuto da Fabio Chiusi, giornalista del gruppo L’Espresso, Fabio Massa, consulente informatico forense per forze di polizia italiane e internazionali, Luca Tremolada , giornalista de Il Sole 24 Ore e moderato da Carola Frediani de La Stampa.
La richiesta dell’FBI alla Apple prevedeva la realizzazione di un software ad hoc che permettesse all’agenzia americana l’accesso al dispositivo, aggirando la cifratura del produttore; qualcosa che somigliava parecchio ad una famigerata backdoor. Il braccio di ferro legale non ha avuto un vincitore: si poteva incolpare l’FBI, del tentativo di coprire un proprio errore nelle indagini, creando un pericoloso precedente che avrebbe indebolito la sicurezza di tutti i telefonini; e l’Apple di presentarsi come paladini della privacy, anteponendo le paure di un calo in borsa alla soluzione di un problema di (presunta) sicurezza nazionale, in quanto non era possibile conoscere se si sarebbero poi rinvenuti dati rilevanti sui legami degli attentatori con la rete terroristica.
Una parziale sospensione della disputa c’è stata quando il dispositivo, su commissione della stessa FBI, è stato sbloccato da un “operatore esterno” non meglio precisato, in seguito al pagamento di 1,3 milioni di dollari; evento a seguito del quale tre testate giornalistiche statunitensi hanno avviato una causa contro l’FBI per conoscere i dettagli e ovviamente la destinazione di questa transazione.
Si è rilevato come forse per la prima volta nella storia del capitalismo avanzato, un soggetto privato votato al profitto possegga una tecnologia tale che le informazioni degli utenti possano essere oscurate a chi è deputato a proteggere la sicurezza nazionale; più in generale inoltre è emerso il paradosso che questo venisse considerato più un problema informatico che terroristico, e la necessità che la politica combatta il terrorismo prima sul piano politico (le sue cause, il suo sviluppo, la sua prevenzione) che su quello della crittografia, col rischio di creare problemi a tutti gli utenti; sintomo di un’incapacità di ragionare se non sul lungo almeno sul medio periodo.
Al termine del panel abbiamo avuto l’occasione di rivolgere alcune domande al giornalista Fabio Chiusi