Uno dei temi che si sono affrontati più volte durante l’Internet Festival #IF2016 , è sicuramente quello dell’evoluzione del giornalismo ai tempi dei social. Se ne è parlato anche alla Camera di Commercio con Michele Mezza, giornalista, Giulio Giorello, filosofo e matematico, Giorgio De Michelis, professore di Informatica alla Bicocca di Milano, e Paolo Chiappini, direttore di Fondazione Sistema Toscana. Il punto focale del dibattito è il tempo, com’è cambiato all’interno del nuovo giornalismo? È cambiata la fruizione della notizia che è ormai istantanea, siamo bombardati di articoli, che ci costringono a vivere in un presente perpetuo. Cambiata è anche la varietà della notizia e di conseguenza, della conoscenza del fruitore. Proprio tramite i social, siamo tutti diventati degli oggetti di studio. Tramite diversi click, che possono essere su Facebook delle pagine di argomenti che ci appassionano, automaticamente veniamo catalogati, per cui ogni volta che accediamo ad Internet, ci ritroviamo ad essere bersagliati soprattutto da notizie affini ai nostri interessi. Si assiste così a una profilazione della notizia, e piuttosto che aumentare la nostra conoscenza, siamo portati a leggere solo gli instant articles che trattano di cose di cui eravamo già a conoscenza.
D’altra parte è pur vero che Facebook sta appiattendo la notizia, rendendola più fruibile a tutti gli utenti, mentre prima, i fatti erano filtrati dalla cultura del giornalista che, articolandoli in modo più elaborato e lento rispetto ad oggi, in qualche modo comunicava al lettore anche le proprie idee, si faceva riconoscere per lo stile. Oggi la notizia tende ad essere più neutra possibile, almeno quella istantanea. Sui vecchi manuali di giornalismo, una delle parti più importanti era la realizzazione del titolo di un articolo: si insegnava a formulare dei titoli che catturassero l’attenzione del lettore, operazione che si è persa invece in questo nuovo giornalismo, il quale punta piuttosto a far entrare la key word nel titolo, per poter avere maggiore diffusione sul web.
Facebook ha portato a un’incremento della comunicazione, basti pensare che fino al 2003 è stato calcolato che nei duemila anni precedenti solo l’1,5% dell’umanità ha avuto la possibilità di parlare fra di loro, dal 2003 ad oggi siamo al 48%. D’altra parte ha reso gli utenti schiavi dell’algoritmo che, tendendo al conformismo per natura, dice De Michelis, rischia di creare un’omologazione più forte di quella già esistente. Il timore è, interviene il professor Giorello, che si diventi macchine del consenso, una società formata da cittadini omologati, mentre bisognerebbe ridare dignità al dissenso.
Non bisogna però fraintendere queste parole pensando che a pronunciarle siano stati dei nostalgici dei vecchi tempi, ma quello di cui forse i social, tra cui Facebook, necessitano è uno schema, delle regole riguardo le notizie senza cadere nella censura, al contrario, dovremmo approfittare del grande regalo che Internet ci offre, e riuscire a essere informati su diversi temi, andando oltre il proprio profilo e le notizie mirate che invadono le nostre home su Facebook.