Sono passati 11 anni da quando al-Zawahiri in una lettera all’altro esponente di Al Qaeda, al-Zarqawi, scriveva che metà della guerra si stava combattendo sul piano mediatico, e da allora la consapevolezza nell’uso dei mezzi di comunicazione da parte dei terroristi è ovviamente aumentata.
Da questa considerazione ha preso il via il dialogo tra Claudia Fusani e il Capo della polizia Franco Gabrielli.
L’ISIS utilizza il web per perseguire tre obbiettivi: fare proselitismo, fare fundraising, ma soprattutto alimentare le paure del mondo occidentale e far sì che si arrivi in esso a limitazioni delle libertà individuali che farebbero il loro gioco, ad esempio facendo sentire esclusi dalla società individui che diventano in questo modo più facili da reclutare e da indurre alla violenza e a quello che gli viene fatto credere un martirio.
Il prefetto Gabrielli rilevava anche come il cyberterrorismo si evolva continuamente e sia in grado di sfruttare nuovi messenger, e realizzando nuovi tutorial destinati ai propri adepti per migliorare l’efficacia della propaganda dell’ISIS in rete. Dunque la risposta dello Stato a questo tipo di minaccia non può essere solamente repressivo, per quanto l’esercizio della forza debba essere attuato anche in termini di chiusura di chat con la collaborazione ma necessità soprattutto di un lavoro culturale di prevenzione a monte.
Un discorso simile va fatto per il cyberbullismo, poichè non si può demonizzare Internet, strumento da salvaguardare e straordinaria occasione di incontro, in nome di una emergenzialità che come sempre accade si rivela nemica dell’analisi e della soluzione dei problemi complessi. La sensibilizzazione al problema e la prevenzione sono la strada da perseguire, anche rappresentando un momento di ascolto, specie quando si pensa che la maggior parte dei carnefici sono minorenni, esattamente come le vittime di questi crimini, e la mera applicazione di una pena fine a se stessa rischierebbe di essere controproducente.