Se il secondo album è sempre più difficile, immaginatevi il terzo episodio di una trilogia teatrale. Dopo Requiem for Pinocchio e Macaron, i romani “LeVieDelFool” presentano al Collinarea Festival di Lari una nuova opera, quella che dovrebbe completare idealmente una trilogia dell’esistenza.
Le aspettative sono alte su Simone Perinelli, perché già nelle precedenti pièce ci aveva abituato a una scrittura scenica straordinaria. I vari personaggi letterari chiamati a raccolta per scrivere questa grande storia dell’uomo contemporaneo sono stati inizialmente Pinocchio e poi Ulisse. Nel nuovo spettacolo Luna Park – Do You Want a Cracker? entra in scena Don Chisciotte. Ma non subito.
La prima parte della pièce propone un viaggio allucinato sulla Tangenziale Est di Roma. Un elenco di punti da collegare, una solenne sequenza di uscite, una topografia urbana e umana ricostruita con flussi di coscienza, tabelloni pubblicitari, riflessioni escatologiche abbaglianti come un paio di fari su una macchina che ti arriva contromano. Il personaggio che regge le fila di questa “grande bellezza” illogica non è un principe dei mondani, ma un “saggio-matto”, un Tiresia solitario come tanti profeti o visionari che si possono incontrare sugli autobus o a fumare nei giardinetti. Un Tiresia che ci vede benissimo con il suo binocolo, e sa che Dio o Godot non scenderà mai in mezzo alla paralisi umana. Allora l’unica speranza rimane profetizzare il futuro che verrà e immaginare un possibile incontro con gli alieni.
Ma cosa dire agli alieni? Perché se non sei un filosofo, un prete, uno scienziato, la questione non è proprio semplice. Dal Tiresia in viaggio sulla Nomentana arriva dunque il gesto di costruire una nuova umanità nel dialogo con l’altro per eccellenza, l’incontro con il non-umano: offrire un pacchetto di crackers pare la via giusta. Do you want a cracker? Ripetuto come una litania, una nuova preghiera per l’affratellamento, per celebrare l’epifania dell’identità.
La narrazione di Roma come città-parabola-di-ogni-città, un racconto fluido ma iperrealista come la guida notturna, intervallato soltanto da momenti di buio usati come segni di punteggiatura, richiama alla mente Joyce e il suo racconto dei suoi dublinesi in “fuga” dalla paralisi, laddove gesti o situazioni banali portano a visioni spirituali superiori. La ricerca dei mulini a vento sulla luna, mentre si fanno dodici tiri di sigaretta, e nel frattempo gli eschimesi si annoiano guardando la neve.
Perinelli porta la sua sperimentazione oltre, e allora irrompono in scena altri personaggi. Perché chi va al Luna Park non si accontenta di provare solo un’attrazione, di avere una sola visione. E allora arriva Don Chisciotte in persona, che recita in spagnolo. E poi c’è anche Gianni, un figlio del Sud Italia, la cui nonna parla pure da morta, non smettendo di dispensare consigli su come fare il caffè, e la cui famiglia ha trame più complesse delle vicende dei Malavoglia. Inoltre spicca un superbo monologo sulle mani, una prova muscolare in cui Perinelli passa in rassegna ogni fraseologia possibile, ogni stanza semantica, ogni sfumatura lessicale della parola mani in rapporto a mania. Una specie di giostra verbale vertiginosa, dove qualcuno ti prende a schiaffi mentre tu giri attorno a una sola parola. Impressionante.
La chiusura dello spettacolo ha le parole del Comandante della Capitaneria di Livorno, Gregorio De Falco, nella ormai storica telefonata che invitava il capitano della Concordia Francesco Schettino a risalire a bordo della nave. “Torni a bordo, comandante io le ordino di tornare a bordo. Ha capito?”
Questo finale si presterebbe a molte interpretazioni, ma quella che voglio proporre è la metafora di un richiamo all’ordine. De Falco, qui, lontano dall’essere l’eroe senza macchia della triste vicenda del Giglio, è il personaggio che, al sopraggiungere dell’alba, intima comandi, stabilisce i doveri, e insomma fa precipitare il nostro Don Chisciotte dalla Luna alla nave che affonda.
Qualcuno potrebbe obiettare che Perinelli stavolta abbia deciso di proporre una visione meno unitaria, meno coerente dal punto di vista narrativo. In realtà la visione va sovvertita, perché la varietà di registri e personaggi di Luna Park restituisce esattamente l’immagine di questo parco del non-divertimento umano, e ricostruisce peraltro il tema della follia descritta in tutta la sua purezza nel Don Chisciotte di Cervantes. Le allucinazioni visive e uditive, il perseguire il proprio delirio credendolo una realtà, qui prendono forma chiara nel testo. Se tutto si fosse risolto in un’unica storia coerente, in una sola voce, oggi mi troverei a recensire qualcosa che smentiva lo spirito dell’opera di riferimento.
Lo spettacolo di Perinelli, dal punto di vista scenico, arriva a livelli di essenzialità ancora maggiori rispetto a Requiem for Pinocchio e Macaron. Alla luce (e al buio) è delegato il lavoro di cesello scenografico e narrativo. E poi ci sono le scelte musicali, ormai una firma stilistica de LeVieDelFool, sempre indirizzati al post-rock o al modern-classical. La prova attoriale di Perinelli è allo stesso livello della sua scrittura: poderosa. Nella sua performance a Lari ha dovuto mantenere il sangue freddo di fronte a una coppia di spettatori in prima fila che aveva avuto la brillante idea di lasciare i cellulari accesi, e di rispondere addirittura al telefono nel bel mezzo dello spettacolo.
Ai direttori artistici dico: aprite le porte dei vostri festival e delle vostre rassegne teatrali a LeVieDelFool. Agli amanti del teatro e ai lettori più onnivori dico: se leggete il nome “Luna Park” su qualche manifesto, divorziate dal divano e andate a vederli. A Simone Perinelli dico: questa trilogia va pubblicata e messa a disposizione di semplici lettori o altre compagnie teatrali. Qui non si chiede solo la Luna, ma anche il vento sulla Luna.
Giuseppe F. Pagano
Il report fotografico completo dello spettacolo lo trovi qui