[RECENSIONE] Future – Honest

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Future - HonestDoveva chiamarsi Future Hendrix, avere un passo meno svelto e indugiare tra più chitarre e più accordi di piano. Doveva verosimilmente contenere anche quella canzone con Miley Cyrus, Real and True, di cui era pure stato girato un video. Soprattutto doveva uscire l’anno scorso. Ha invece visto la luce solo il mese scorso il secondo album di Future, personalità unica nell’hip-hop odierno, e si chiama Honest. Mutato dunque il progetto iniziale, che avrebbe spiazzato i fan, il rapper di Atlanta ha optato per un lavoro meno rischioso. Di quell’idea originaria rimangono qua e là le tracce, come nella terminale Blood, Sweat, Tears, forse preannuncio di ciò che sarà di un artista che col primo album, Pluto (2012), aveva cambiato le regole del gioco.

Oggi invece il rapper-astronauta sceglie di mettere da parte l’innovazione, il future-ismo, per riaffermare, perso nello spazio, con quanto di meglio sa fare, che sua è la stella più lucente del firmamento. Attraverso produzioni perfettamente calibrate, che espandono il canone della trap di Atlanta senza tuttavia mai spingersi oltre i suoi limiti, sotto l’occhio vigile del fedele Mike WiLL Made It, Honest ripresenta una vincente e avvincente successione di bangers and ballads, i poli intorno ai quali è sempre gravitata l’orbita di Future. L’indispensabilità della sua presenza per la riuscita perfetta di due dei maggiori successi hip-hop dell’anno scorso, Bugatti e U.O.E.N.O., è patente di infallibilità per i primi; l’empatia suscitata dalla sua voce nelle seconde è attestato della sua grandezza d’artista.

Il valore dell’arte di Future è sempre risieduto infatti, più che nelle parole e nei temi delle sue canzoni, che, a ben vedere, condivide con qualsivolgia altro rapper in circolazione, nella connessione emotiva che riesce ad istaurare con l’ascoltatore, mediante un diverso e a lui proprio modo di porsi e un utilizzo tutto particolare della voce, la quale esce arricchita dalle modificazioni apportate dall’Autotune (non c’è niente di più umano della sua voce che si spezza scricchiolando in Honest, la canzone omonima dell’album), da cui trapela una grande onestà (per riprendere ancora il titolo di questo disco) di fondo, che traspare al di là del significato e del senso stesso delle parole, al di là della musica.

Anche Future, come tanti, racconta una vicenda di realizzazione personale, a partire dalla traccia di apertura, Look Ahead, che campiona baldanzosamente Santigold («Ain’t another better feelin’ / Like the feeling when a nigga make it out the slums»), o gonfia il petto nell’esaltazione di sé (fino all’iperbole ironica di «Godzilla ain’t got shit on me, nigga» in My Momma), che sono temi, soprattutto nel primo caso, trattati in maniera ancor più generica e con maggiori reticenze di quanto avviene in media, senza precisazione di sorta. Tanto è vero che lo stesso Future incentra tutta una canzone, la già citata Blood, Sweat, Tears, a rimarcare quanto vorrebbe che si sapesse («I wish everyone here could see it») tutta la fatica e la sofferenza che gli è costato il perfezionamento della sua arte, ma è lui stesso il primo a tacerle («You couldn’t have known what I did for this»).Tuttavia è proprio la genericità e il non detto che consentono una più larga immedesimazione da parte del pubblico, che più facilmente può rapportare la propria esperienza a quella cantata, ed è questa la forza di tutte le grandi canzoni, comprese quelle di Future.

In secondo luogo, anche nella sbruffoneria, Future mantiene, come si diceva, una certa basilare onestà e gentilezza di modi, che lo differenziano da rapper come Kanye e Drake, vanagloriosi e fatui, emblematicamente accolti in quest’album per un confronto impietoso, quasi in virtù di un piano diabolico ben congegnato (Drake viene addirittura sfumato nel finale di Never Satisfied). I Won con Kanye è a tal proposito esemplare. Dal punto di vista del messaggio si tratta di una canzone aberrante, che riprende la metafora della donna come trofeo di cui il maschio fa mostra agli altri suoi consimili, ma se Kanye si attiene alla traccia, citando tra l’altro i nomi di tutte le Kardashian, al contrario dalla voce di Future emana una dolcezza che trascende le parole e nulla risulta più affettuoso del verso, rivolto all’amata cambiata nel fisico dalla gravidanza, «I know it’s because of me, got you in custody», magicamente sospeso.

Il fatto è che Future nelle ballate è insuperabile, capace com’è di commuovere pure le pietre. Di queste sue doti “orfiche” è esempio la tenera e bellissima I Be U, una delle sue migliori canzoni in assoluto, sentimentale assai e mai stucchevole. Ed è proprio questa estrema sensibilità che fa di Future un rapper straordinario e unico. E della sua unicità, strenuamente perseguita, Future è perfettamente cosciente e se ne fa giustamente vanto – il rassegnarsi all’ordinarietà, senza neanche provare a far emergere la propria voce fuori dal coro è per Future commiserevole (Special)  –, soprattutto in risposta agli innumerabili imitatori che hanno reso, con la loro continua opera, ormai ordinario il suono che Future si era forgiato per sé.  «Everybody want a piece of me, / Everybody wants a piece of fame» afferma in uno dei momenti più struggenti dell’album. Ma nonostante tutto, parafrasando un verso di Honest, è Future  l’unica vera rock star per la vita.

Luca Amicone

Redazione musicale