La storia dell’editoria italiana moderna è caratterizzata da una serie di rifiuti eccellenti. Moravia, Morante, Pasolini, Gadda, Camilleri si sono visti sbattere la porta in faccia un mucchio di volte prima di riuscire a far pubblicare le loro opere, oggi capolavori indiscussi. Per questo libro ci sono voluti quindici anni per scriverlo, otto per riuscire a trovare qualcuno che finalmente lo pubblicasse, e ben undici anni per la seconda edizione. Però, così come per gli autori illustri sopra citati, la moderna tragedia editoriale di Gli Esordi di Antonio Moresco non è legata a una scarsa qualità del libro bensì alla sua forte carica innovativa, rintracciabile già nel titolo.
L’esordio è per definizione l’inizio di una data azione e la scelta inusuale di porre il termine al plurale stimola un’immagine di varietà, di una molteplicità di spazi ancora inesplorati. A sostegno di questa visione c’è la struttura tripartita del romanzo: questa suddivisione non è una semplice ripartizione del tessuto narrativo, concepita per favorire una logica concatenazione dei diversi stadi evolutivi del protagonista; al contrario, le tre scene sono consequenziali ma non connesse tra di loro poiché in ognuna il personaggio si presenta in modo diametralmente opposto alla scena precedente. Così facendo Moresco rompe gli schemi tradizionali del romanzo di formazione dimostrando come il progresso dell’individuo sia in realtà un continuo stravolgimento dei propri caratteri primari, come sia continuamente possibile reinventare se stessi e l’ambiente circostante.
Lo ammetto, Moresco non è un autore semplice; la sua scrittura è nuova, estranea a tutto ciò a cui siamo stati ultimamente abituati a chiamare Letteratura. Al lettore si chiede di superare le forme comuni del romanzo e di lasciarsi affascinare da un’ inedita e vorticosa visione del mondo letterario, come motore di produzione del pensiero e operazione di sfondamento della realtà. Moresco ha aperto un varco dimostrando come sia davvero possibile andare oltre, immaginare un altro modo di vivere e concepire il nostro spazio; a noi non rimane che lasciarci contagiare dalla sua forza visionaria.
Giada Stigliano per Radioeco.