È stata la classica serata in cui all’assenza non è concesso alcun tipo di giustificazione. Dam Funk a Firenze, così vicino, è stata l’occasione da non perdere per una serie di ragioni. Una delle quali è che il suo live e tutte le influenze che si sono diffuse dal palco del Tenax arricchiscono l’animo e la mente di chi c’è stato; in secondo luogo perché l’apertura è stata affidata a Spinoff e Dre Love, che hanno preparato degnamente il campo al live set di una delle punte di diamante della Stones Throw.
Con Novelty Island abbiamo regalato ai nostri ascoltatori due biglietti, e con loro e con tante altre persone c’eravamo anche noi, che non ci siamo lasciati sfuggire l’occasione di fare due chiacchiere con Damon G. Riddick.
Segue la sintesi dell’intervista:
C – Come influenza la tua musica un posto come la California? E qualora ti fosse capitato di vivere altrove, hai notato su di essa qualche ripercussione?
DF – L’influenza della California è molto forte; mi aiuta a trovare gli accordi e il carattere della musica. Anche se avessi vissuto altrove probabilmente sarebbe stato lo stesso, perché è sempre in me. Tuttavia è vero che ciascun luogo si ripercuote sulla musica. Non si sa mai, però io amo registrare a Los Angeles.
C – Come è cambiato il tuo processo produttivo dai primi beat-tape di metà anni ’90 agli ultimi lavori come Seven Days of Funk?
DF – Ora dispongo di attrezzatura migliore e posso utilizzare Pro Tools, quando invece in passato registravo con tecniche più approssimative, per esempio da CD a CD. Ora continuo a seguire le stesso procedimento di prima, ma ne risulta un suono più pulito. Questa è l’unica cosa, il cuore e l’anima rimangono invece gli stessi di quando ho iniziato.
C – Qual è il ruolo di una label molto importante come la Stones Throw Records nel promuovere un certo tipo di cultura e in che modo questa arricchisce il pubblico?
DF – Far parte della Stones Throw Records è forte. Si tratta di un’etichetta di artisti dalla grande libertà creativa, a cui è fornita la piattaforma per esprimersi senza censure. Questo è ciò che apprezzo di più della Stones Throw Records, perché non si fonda su trovate commerciali o cose del genere. A me interessa solo fare arte e anche per gli altri è lo stesso. Sono sicuro che il pubblico che ci ascolta in tutto il mondo apprezzi questo e favorisca la determinazione nel mandare avanti un’etichetta di artisti che fanno le cose col cuore. Sì, la Stones Throw Record è una grande etichetta.
C – Si propone anche un ruolo educativo e di unire il pubblico al di là dell’ aspetto musicale anche sotto il profilo culturale?
DF – Sì, sì assolutamente. Condividiamo molte canzoni e i mix che facciamo alla Stones Throw sotto forma di podcast, nei quali portiamo all’attenzione diversi artisti poco conosciuti. Serve al pubblico per imparare qualcosa, o serve solo per condividere con esso materiale online. È bene che il momento educativo sia una parte sostanziale della musica, non si può ignorare ciò che è venuto prima di noi.
C – Riesci a individuare questa influenza nelle persone che affollano il tuo party a LA, Funkmosphere?
DF – L’influenza del pubblico è importantissima. Funkmosphere dà ad esso la possibilità di ascoltare tracce sconosciute, di essere là solo per la musica, e non per rimorchiare o roba del genere. Anche se è bello avere ragazzi e ragazze nello stesso posto, ed è bello anche avere tante ragazze, perché odio entrare in un club e non trovare che ragazzi. Ma Funkmosphere non è così.
C – Il tuo sound è molto personale e riconoscibile. Hai mai provato a cimentarti in altri generi?
DF – Sì, l’ho fatto diverse volte, ma la gente non ha ancora avuto modo di ascoltarne i risultati, mi sto prendendo il tempo necessario. Ho pensato a vari pseudonimi e nomi d’arte. Ho semplicemente deciso di dedicarmi a varie cose negli ultimi tre anni e di terminare il nuovo album che uscirà tra l’estate e l’autunno prossimi. Ma aspettatevi qualcos’altro da me presto.
C – Se tu dovessi collaborare con qualcuno, chi sceglieresti?
DF – Credo di avere già collaborato con i migliori di sempre, con i quali mi sono più divertito, ossia Snoop Dogg e Steve Arrington. Con quei due lavorerei sempre. Ma non ci sono limiti. Così funziona oggi, ma sto veramente provando a concentrarmi solo sulle mie cose e di creare alla maniera di un pittore. Van Gogh non faceva collaborazioni, non mandava messaggi privati su Twitter alla ricerca di collaboratori per fare un quadro. Voglio tornare indietro a quando ero totalmente focalizzato sulla mia musica, fissavo un’immagine visiva, e non stavo sempre a pensare alle collaborazioni. Se capita, capita, ma non ne forzerò mai una. La mia arte viene dal cuore, non si tratta di mettere su un progetto carino con qualcuno solo perché sarebbe carino. Voglio concentrarmi su una mia visione, non su qualche bella idea con cui qualcuno potrebbe venirsene fuori. Proprio non mi va.
C – C’è uno strumento che non hai mai provato e che ti piacerebbe suonare? e qual è la prima macchina che accendi quando entri in studio?
DF – Di solito accendo per prima cosa la drum machine perché sono in primo luogo un batterista; anche le tastiere sono uno strumento fondamentale, così come il campionatore del basso, con cui sto sperimentando. Non ho ancora suonato il basso nelle mie cose. Voglio suonarlo solo quando sarò pronto, e allora mi scatenerò come un bassista, ma prima voglio assicurarmi che sia il momento giusto. È certamente il prossimo strumento col quale mi piacerebbe sperimentare.
C – Sei molto affezionato ai metodi di produzione analogica. A che punto del tuo processo lavorativo accendi il computer?
DF – Registro naturalmente, d’impulso, divertendomi con tutti gli strumenti che ho a disposizione, quindi drum machine, tastiere e campionatori, e infine i vocals.
C – Se tu dovessi definire le sonorità del prossimo disco sulla base degli ascolti fatti durante il processo creativo, che cosa pensi che ti abbia influenzato maggiormente?
DF – Sono stato influenzato dalla mie esperienze di vita. Ho scelto di proposito di non ascoltare la cose degli altri durante il processo di registrazione. Molta gente mi mandava la sua roba chidendomi di ascoltarla, ma mi sono rifiutato. Così ho ammucchiato tutta questa roba da poter ascoltare in seguito, ma non durante il processo creativo. Non avevo voglia di ascoltare la roba degli altri, soprattutto quella nuova. Se mi è capitato, è stato solo per fare le mie congratulazione all’artista, ma nulla mi ha davvero influenzato se non le mie esperienze personali. Ho provato a non essere influenzato da nessuna cosa nuova, da nessuna cosa sulla radio, da nessuna cosa in voga al momento. Volevo solo esprimere ciò che avevo dentro. Questo ascolterete nel mio prossimo album.
C – Che odore ha per te il funk?
DF – L’odore del funk? È l’odore di ciò che viene dal cuore e dall’anima; è l’odore delle lacrime.
Permetteteci infine di porgere un ringraziamento doveroso ad Andrea Mi, patron e ideatore della serata Underpop, che ha portato esponenti di spicco della scena elettronica contemporanea in Toscana. E’ stato davvero un piacere assistere al susseguirsi dei live di Kode 9, Phon.O, ai DJ set di Simian Mobile Disco, Shigeto e Livity Sound. Noi ce siamo gustati tutte le serate e ci siamo anche divertiti ammodo… come dicono da queste parti.
We want more!
Intervista a cura di Caterina Pinzauti, Fabio Aanti & Francesco Cito.
Traduzione a cura di Elisa Torsiello.