Intimità e potenza. Tutti i colori del pianoforte di Benedetto Lupo

La fama di Benedetto Lupo è preceduta dalle sue pregevoli interpretazioni di Rachmaninov o di Dvořák, ma soprattutto ciò che lo precede è la stima dei suoi allievi. È carismatico, assolutamente lontano dai divismi, capace di trasmettere entusiasmo in ciò che insegna. E, quando il maestro sale sui palchi europei o americani, lo troviamo veramente su altissimi livelli.

La sua tappa pisana, all’interno del calendario de “I Concerti della Normale”, si iscrive sicuramente nella lista delle migliori performance pianistiche di quest’edizione. Il repertorio ha messo in evidenza le sue capacità esecutive, capaci di coinvolgere lo spettatore e di trasmettere la partecipazione “emotiva” del pianista. Non poteva scegliere miglior esordio per la serata che la Sonata per piano 1.X.1905 “Nella strada” di Janáček.

???????????????????????????????Questa prima opera, volendo fare un parallelismo storico e musicale improprio, corrisponde un po’ allo spirito che ha mosso Guccini nella composizione di Piazza Alimonda, dopo la morte di Carlo Giuliani. Janáček infatti scrisse questa sonata per commemorare la morte di un giovane manifestante ucciso da una baionetta durante gli scontri di piazza che si verificarono a Brno, in Moravia, il 1 ottobre del 1905. È un brano poco eseguito in pubblico, dai forti accenti romantici, ma tutt’altro che retorico o patetico. In poco più di 10 minuti Janáček condensa ispirati appunti emotivi, costruendo in due movimenti il passaggio dal presentimento della morte all’evento tragico, sino al pianto finale collettivo.

Coeva alla sonata di Janáček, la prima serie delle Images di Debussy, appare a chi l’ascolta come una vetro di una finestra appannata dal freddo, su cui disegnare con le dita. O, per essere più corretti filologicamente, ricordano i cicli pittorici di Claude Monet. Reflets dans l’eau è un insieme di variazioni, su un motivo molto semplice di tre note discendenti. Invece Omage a Rameau e Mouvement hanno una forma più semplice, caratterizzata dalla presentazione del tema principale,seguita da una sezione che contiene materiale alternativo, seguito dal ritorno del tema principale. Le tre parti sono simili nella loro struttura dinamica. La  perfetta padronanza di Benedetto Lupo si confronta anche con il discorso un po’ più aggressivo di Masques, che non tralascia anche un trattamento percussivo della tastiera, quasi ad allontanare spettri circostanti, e con il discorso simbolico e sospeso de L’isle joyeuse, che apre spazi d’immaginazione nell’ascoltatore.

???????????????????????????????Un discorso a parte merita la seconda parte del concerto, in cui Lupo si è cimentato con Čiajkovskij e la sua Grande sonata in sol maggiore, pagina possente ed emozionante. Consideriamo innanzitutto il sottotesto di quest’opera, scritta un anno dopo il 1877, l’anno dell’infausto matrimonio con un’allieva (subito naufragato) per nascondere a se stesso e agli altri la propria omosessualità. Čiajkovskij e il suo delicato equilibrio furono a tal punto turbati da condurlo verso il tentato suicidio. L’unica nota positiva di questo periodo è la corrispondenza (dai contenuti anche ambigui) con l’eccentrica e misteriosa Nadezda Filaretovna von Meck, mecenate del compositore, che mai incontrò di persona. La sonata è una sorta di corrispettivo della Quarta Sinfonia in fa minore op. 36, altrettanto gravida di fatalismo: si traspone in musica l’impossibilità per l’uomo di raggiungere la felicità piena. La struttura complessa, ampia, con molti spazi concessi al virtuosismo, premia la versatilità di Lupo, il quale alterna magistralmente tocchi vellutati e fatati, a potenti gesti, valorizzando la natura percussiva del movimento finale.

Il concerto si conclude con due regali al pubblico, una pagina di Brahms e una di Debussy, che rischiarano l’uditorio dal presentimento dell’infelicità che Čiajkovskij aveva costruito così sontuosamente. Meritatissimo il tributo di applausi conferito dal pubblico pisano a Lupo. Teniamocelo caro questo pianista italiano, anzi, dirò di più: spalanchiamogli ancora più teatri, perché merita davvero di avere un calendario fitto di esibizioni.

Giuseppe F. Pagano
Redazione musicale

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