[RECENSIONE] Pharrell Williams – G I R L

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Pharrell - GirlG I R L di Pharrell Williams è uno di quegli album che richiedono un indicibile sforzo di volontà ai temerari che volessero ascoltarli in ogni parte, costretti a reprimere il persistente desiderio di vederli bruciare nel rogo delle umane brutture e a costringere la mente, sul piede di vagare per strade inconoscibili, ad una sofferta attenzione. Già, è un ascolto difficile e faticoso questo disco, perché la vacuità tremenda di cui è fatto è così grave da sopportare che ci si spinge innanzi per puro amore di verità. Soltanto a riguardare la copertina con Pharrell attorniato da tre donne, tutti in accappatoio e occhiali da sole come in una brutta fotografia promozionale per la prossima serie di Desperate Housewives, con quell’orrendo grande titolo a lettere d’oro, secondo per bruttezza solo a Sheezus di Lily Allen, non si può non essere scossi da un brivido d’orrore.

Il titolo e l’idea che muove l’album deriverebbero, fidandosi delle parole dello stesso Pharrell, dalla volontà di fare ammenda dopo che il suo nome è rimasto associato a due delle tracce più sessiste e tragicamente famose dell’anno scorso, Blurred Lines e Get Lucky, che avevano infiammato più di qualche polemica per il loro contenuto maschilista. Per questo è inaccettabile che Pharrell, nonostante le affermazioni e le belle parole, perseguiti sugli stessi toni, anzi li aggravi. Non soltanto non è certo possibile ritenere celebrazione del sesso femminile l’espressione dell’attrattiva sessuale da esso esercitata sul maschio e di quanto questo muoia dall’impellente desiderio di copula, che è a bene vedere l’unico tema dell’album, ma è semplicemente terrificante il messaggio che traspare da Hunter, traccia dagli inammissibili toni predatori e vagamente spirante aria di stupro, ove le donne, prede di conquista maschile, sono paragonate ad animali imbalsamati disposti a mo’ di collezione sulle pareti: Just because it’s the middle of the night, / That don’t mean I won’t hunt you down. / If I can’t have you, nobody can; / That’s the animal speaking who’s going to hunt you down. E si ode ansimare Pharrell alla maniera dei cani assetati.

Dal punto di vista più musicale l’album è ugualmente terribile, risultando un incrocio tra Random Access Memories e The 20/20 Experience incentrato pesantemente sui motivi dell’R&B più noioso e della disco più insulsa, nella speranza di innalzarsi al vertice della classifica sull’esempio di quei modelli. E non v’è da aggiungere altro, perché pochissimo è stato più noioso, passatista e inoffensivo di questo disco privo di inventiva e di tutti guizzi, della pur minima favilla che possa destare l’attenzione. Non di certo l’introduzione cinematografica della traccia d’apertura, Marilyn Monroe, in cui la famosa attrice viene associata senza logica, in perfetto stile americano, alle figure lontane di Cleopatra e Giovanna d’Arco, o le piacionerie diffuse, come quelle che hanno fatto dell’irritante Happy un inevitabile successo.

 Su tutto, è immensamente triste che questa musica insulsa sia considerata il mezzo giusto per lanciare verso la fama un musicista rimasto lungo tempo nell’ombra come Pharrell, una volta celebrato come genio e ora ridottosi a scimmiottare, cantante inetto, Justin Timberlake che si finge Michael Jackson, dal quale Justin, quando questi compare svogliato come in Brand New, risulta del tutto indistinguibile. Perché gli ospiti, di per sé poco esaltanti e affatto prevedibili nel solito gioco di favori reciproci, nella solita girandola di apparizioni incrociate stabilite a tavolino, non riscattano in nulla la desolazione del disco. In Gust of Wind compaiono i Daft Punk, che devono di certo provare una soddisfazione immensa nell’essere ormai ridotti dal sentire comune all’associazione con il vocoder – ecco il loro grande lascito! –; in Come Get It Bae, dallo sconcertante titolo  “al passo coi tempi” come alcuni suoi versi (Take it easy on the clutch, cause, girl, I like you su tutti), non poteva non comparire Miley Cyrus. In Know Who You Are diffonde sopore Alicia Keys non diversamente dal solito; JoJo si trova ridotta a pura parvenza spettrale nella traccia fantasma Freq.

Non riuscendo a figurarmi in alcun modo che cosa significhi sentirsi come una stanza senza un tetto, mi fa perdere ogni residua speranza nel genere umano il solo pensiero che qualcuno possa avere alta considerazione o quantomeno piacere di tale raccapricciante nullità.

Luca Amicone

Redazione musicale