Nel 2010 nasceva un progetto jazz italo-americano dall’incontro di alcuni artisti che si erano trovati a condividere lo stesso palco. Il palco è quello dell’Ex Wide di Pisa, e il progetto si chiama Hobby Horse, una realtà che oggi è ancora più consapevole dei propri mezzi espressivi e della propria firma sonora.
Capiamo bene l’emozione e il piacere che hanno provato Dan Kinzelman (sax tenore, clarinetto basso), Joe Rehmer (contrabbasso, tastiera, effetti elettronici) e Stefano Tamborrino (batteria) nel ritrovarsi a Pisa, città che è legata alla nascita del gruppo, con un pubblico piuttosto attento e partecipe alle positive vibrazioni offerte dalla Wide. Il live che gli Hobby Horse hanno tenuto al Teatro Sant’Andrea di giovedì scorso ha confermato l’ottima fama che li precedeva sia a livello discografico, sia a livello live… Ricordiamo che i nostri sono stati anche ospiti dell’Umbria Jazz 2013.
L’esordio della loro performance al Sant’Andrea è affidato a Minim, già brano di apertura del loro primo EP Trevi. L’armonizzazione vocale iniziale, utilizzata come strumento, serve già a chiarire che tutto quello che ascolteremo da lì in poi è tutt’altro che un approccio standard alla materia jazzistica. Di base c’è una forte dose di free jazz che vede nell’improvvisazione la sua indole primaria, uno stimolo alla ricerca, ma con tutta una serie di corollari di world-music o di elettronica che rendono il suono degli Hobby Horse un segno distinguibile.
La batteria di Tamborrino segna alcune incursioni verso il rock, con i passaggi dai tempi dispari a ritmi più serrati – per esempio in Rock –, mentre Kinzelman oscilla tra il lirismo di alcuni episodi e spruzzi di energia improvvisativa. Battle riassume bene lo spettro ampio di soluzioni e di improvvisazioni offerte dal sax, sempre in costante dialogo con la batteria, in un gioco di rimandi e sottolineature. Interessanti anche gli innesti creati da Tamborrino con alcuni campionamenti tratti da un paio di vinili, contenenti un’intervista di Enzo Biagi e una canzone di Gigliola Cinquetti (da cui viene isolato un passaggio di batteria, e fatto scorrere anche in reverse). Del comparto elettronica si è occupato Joe Rehmer, che grazie a una tastierina e a pochi effetti è riuscito a creare quasi un tappeto di drone in alcuni episodi, contribuendo alle tinte dark ambient di alcuni pezzi.
Tra i pezzi della serata tratti da Eponymous, il loro disco uscito nel 2013, spicca la frammentarietà nervosa di Kitten Salad Sandwich. E poi c’è Visitor (che per la verità figura anche in Trevi), che seduce e ipnotizza con i suoi pattern vellutati e il lavoro di spazzole sui piatti. Sempre sullo stesso tono ambient misterioso c’è anche Ribcage e l’onirica Wait. Oltre alla scaletta di brani originali è stata proposta anche Message to Prez, una cover di Bennie Maupin, con un estroso contributo solista di Kinzelman.
L’aspetto cinematico degli Hobby Horse, dove ad ogni suono corrisponde un colore e all’interplay (fantastico!) tra gli elementi corrisponde un affresco, ci ha permesso di godere di un’esperienza davvero metamusicale. Una sinestesia non lineare e sempre imprevedibile, un sogno disturbato dentro la metropolitana: questo potrebbe definire – solo in parte – la performance degli Happy Horse.
Alla fine del concerto sono andato a scambiare due chiacchiere con Tamborrino e Kinzelman, e si sono rivelate persone squisite. Grazie a loro, il mio programma Déjà la nuit manderà in onda su Radioeco la registrazione dell’intero concerto. Non rimane che darvi appuntamento domenica 16 marzo, alle 22.30, per farvi toccare con l’orecchio l’eccellenza di questa formazione.
Giuseppe F. Pagano
(redazione musicale)
Il report fotografico di Michela Biagini lo trovi qui