Un solista carismatico come Salvatore Accardo è uno dei pochi interpreti contemporanei a sostenere l’eccellenza altrui in formazione, e non attraverso talent-show, come purtroppo è diventata la norma nella musica leggera, ma attraverso quel vecchio metodo che un tempo si chiamava “mettere a bottega”, con cui i più grandi artisti formavano la generazione successiva, sia dal punto di vista del vedere oltre che dell’operare. Se è vero che il talento è personale, ed è innato, è anche vero che i tanti “segreti” frutto del “mestiere” si possono insegnare, aiutando a costruire quel ponte tra generazioni, in modo tale che nessuno negli anni avvenire si trovi sguarnito delle conquiste fatte in decenni e decenni di luminosa carriera.
Quando assistiamo a un concerto dell’Orchestra da Camera Italiana, la formazione fondata e diretta da Accardo, fondamentalmente ci troviamo di fronte ad una orchestra in cui gli elementi s’intendono alla perfezione. Si conoscono tra loro, umanamente, perché hanno fatto un percorso comune, e questo incide non poco sulla resa finale sul palco del teatro.
Il Teatro Verdi non è mai stato così gremito il 18 febbraio, la sera in cui la formazione è stata ospite dei Concerti della Normale. Personalmente ricordo un’altra esibizione così affollata e “attesa”, cioè quella di Uto Ughi con l’ORT nel 2009. Accardo è molto amato dal pubblico, e apprezzo la scelta di aver anche scompaginato un po’ le aspettative, piazzando in repertorio anche una pagina contemporanea come Capriccio a Due per due violini e orchestra d’archi, scritta appositamente per Accardo e l’OCI da Laura Colasanti, un astro della composizione già affermato a trent’anni.
Il programma è eterogeneo ma accomunato senz’altro da una certa dose di virtuosismi, e dà modo anche a un’altra solista, Laura Gorna, di mettere in luce le sue qualità esecutive e interpretative. Il repertorio ha spaziato da Saint-Saëns (Havanaise op. 83 e Introduzione e Rondò Capriccioso op. 28) a Schubert (Quartetto per archi n. 14 in re minore “La morte e la fanciulla”), passando, come dicevamo, per la Colasanti.
L’Havanaise di Saint-Saëns avevo avuto modo di ascoltarla sempre in un’esecuzione a cura dell’OCI nel settembre 2013, ed è semplicemente straordinaria e pulita come esecuzione, sia nelle parti soliste, che nel seguito orchestrale. Di altissimo livello è stata l’esecuzione del Capriccio a due della Colasanti, in cui il dialogo serratissimo tra i due violini, i richiami, le sovrapposizioni, creano un gioco che coinvolge anche il resto dell’orchestra, in un’altalena emotiva che gioca tra avvicinamenti e contrasti.
Davvero toccante e appassionata anche l’esecuzione de La morte e la fanciulla, capolavoro della liederistica schubertiana, soprattutto il carattere drammatico messo in risalto dal gioco di seduzione della Morte nel secondo movimento. Stavolta Accardo gioca il ruolo di direttore d’orchestra. Mi rimane scritto ancora nella memoria visiva e acustica lo splendido inciso ritmico del primo movimento, il fatidico “segnale del destino”, di forza quasi beethoveniana, che poi verso la fine si placa e trova la sua quiete, il suo riposo. Bello il gioco di sguardi tra i vari elementi, le intese epidermiche nel controcanto tra viole e violini. L’OCI riesce a concludere la serata con un tripudio di consensi da parte di tutto il pubblico pisano, che commenta positivamente anche nei dialoghi informali di fine concerto.
Alla fine della serata l’impressione è che Accardo, ovunque metta mano, allevi dei tesori. La pazienza e la cura con cui sta allevando questo vivaio d’interpreti gli sta restituendo non solo l’evidenza della loro crescita artistica, ma anche la nostra riconoscenza di ascoltatori.
Giuseppe F. Pagano
Redazione musicale
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