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[RECENSIONE] Katy B – Little Red

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Katy B – Little RedCon Little Red, il suo secondo album, Katy B continua la sua missione, intrapresa nell’ormai piuttosto lontano 2011 con On a Mission, disco di debutto salutato a suo tempo come classico immediato, di cui questo nuovo lavoro è naturale continuazione, e proseguita con l’altrettanto bello Danger EP, uscito sul finire dell’anno successivo. Come quegli illustri precedenti, anche quest’ultimo lavoro è un condensato delle sonorità varie dell’attuale scena dance inglese. Prevedibilmente dato l’attuale panorma musicale, la house la fa da padrona su drum&bass, garage e dubstep,  sonorità ancillari ma mai dimeticate, scintillando dei lustrini del pop.

Anche questa volta, ad eccezione delle benvenute incursioni di Joker, MJ Cole, Jacques Green e George Fitzgerald, la produzione è per la gran parte affidata a Geeneus, capo indiscusso e indiscutibile della benamata Rinse, radio londinese fino ancora a qualche anno fa pirata in cui Katy s’è fatta le ossa. Insieme i due formano una coppia affiatata e pefetta, tanto che Katy è solita riferirsi al suo produttore di fiducia come al suo Timbaland, essendo lei la sua Aaliyah.

Aaliyah è anche il titolo di una traccia di Little Red, ripescata da Danger probabilmente per il grande entusiasmo suscitato e per i numerosi passaggi radiofonici ottenuti alla prima uscita. In essa l’omaggio all’indimenticata stella dell’R&B è soltanto velato. Vi si racconta infatti di una ragazza dal nome esotico che per mezzo solo delle sue movenze in pista riesce ad incantare il DJ, l’amato della nostra Katy, che, anche lei persa nella mischia, non può far altro che assistere, impotente e al tempo stesso ammirata, insieme alla sua compagna di sventura Jessie Ware.

Il punto di forza di Katy è sempre risieduto nella capacità di raccontare piccole storie di dancefloor, squarci di vita intinti di sudore, fumo e luci, attingendo alle memorie passate e presenti della vera raver Kathleen Brien, non altri che la stessa Katy nella vita reale. Le sue doti autoriali, che la distanziano dal resto delle cantanti da classifica, si rilevano nella vena narrativa, nel racconto o semplice tratteggio di vicende notturne rievocate in tutta la loro vividezza in tempi e luoghi ben definiti, secondo situazioni verisimili, per mezzo di dettagli precisi, che vanno dalle droghe – il Valium di 5 AM, l’Ecstasy di All My Lovin’ – ai colori, soprattutto a questi, dato che la musica di Katy è per definizione visiva: ovviamente il rosso della passione, mai così accentuata nei precedenti lavori; ma anche il blu degli occhi, il verde dell’invidia, il giallo dell’oro intorno al polso.

Ma rossa è anche la chioma di fiamma, rosso il colore delle labbra carnose e delle unghie smaltate di cui Katy fa ultimamente sfoggio. Little Red segna infatti anche la sua definitiva trasformazione da pimpante e scatenata ragazza sul dancefloor, sudata e con un drink in mano, a diva house totale. Se scemata è la freschezza rinfrancante di fanciulla che emanava all’esordio, ora Katy incanta con il fascino e la sicurezza di una donna compiuta. La sua voce domina e controlla tutto, come solo qualche anno fa era impensabile. Quando in Everything ti assicura che ci sarà sempre, lei, per te, solo per come lo dice non puoi avere alcun dubbio: lei ci sarà sempre. In Emotions riesce a generare il massimo dell’emozione grazie al potere e alla potenza della sua prestazione, aiutata da una sapiente costruzione musicale: synth rave da mani in aria che sfociano in un potentissimo finale drum&bass in cui scaricare tutta la tensione accumulata.

La maturità di Katy emerge palesemente anche nel leggero slittamento dell’ambientazione delle canzoni, non più totalmente incentrata sulla pista da ballo, ma nei momenti e luoghi immediatamente prossimi. Così se in Lights On, unica vera traccia UK Funky ad aver mai goduto di successo, si dimeneva eccitata sulla pista a luci accese, unica superstite del dancefloor, ora in 5 AM Katy cattura il momento subito successivo, fatto di indolenzito stordimento, quando, quasi l’alba, si cerca qualcuno capace di calmarci come il Valium.

Gli unici cedimenti si rivelano in qualche ballata di troppo – anche se con buona volontà e tanti ascolti una traccia com Crying for No Reason, pure non ancora pienamente convincente, acquista almeno un senso all’interno del tutto che è l’album – e in un duetto con Sampha dalla voce noiosamente androgina pessimo prima per idea e poi per realizzazzione, brutto senza appello. Poco male, però, perché per ogni passo falso c’è una meravigliosa gemma che gioca a nascondersi tra le tracce aggiuntive dell’edizione deluxe, obbligatoria. Come dire, sono i nei della perfezione.

Luca Amicone

Redazione musicale