Non pensavo di ritornare a scrivere un articolo per Radioeco in un’occasione così triste. Perché alla fine parliamoci chiaro, quando muore un attore è come se morisse un nostro conoscente.Ho sempre visto gli attori come quegli esseri dotati – chi più chi meno – di quella capacità di entrare prepotentemente nelle nostre vite, con personaggi che vivono storie perlopiù inventate, personaggi lontani anche dal loro essere, ma che ci fanno stare bene, ci fanno sognare, piangere, ridere e per questo li sentiamo vicini, gli vogliamo bene proprio come vogliamo bene a un nostro amico. Li vediamo come esseri immortali, esseri che, aldilà dello schermo, si trasformano in chiunque, diventano invincibili, ma ci dimentichiamo che alla fine sono nient’altro che esseri comuni, proprio come noi, coi loro sentimenti e con i loro (fin troppi) casini e problemi. Ed ecco che poi succede che anche loro decidono di fare cazzate, e tu lì a casa a leggere incredulo della loro morte domandandoti che diamine gli passava nella mente per arrivare a fare l’inchino finale e uscire di corsa dal palco della vita, lasciandoti lì, perduto nel tuo sgomento. E allora vorresti chiamarli, urlargli contro e, proprio come faresti con un amico, dargli due schiaffi, chiedergli perché gettare la vita, gli affetti, il TALENTO direttamente nel buco più torbido del cesso; già, perché tu Philip Seymour Hoffman, premio Oscar nel 2006 per Truman Capote, ti sei messo quell’ago in vena e hai fatto “ciao ciao” a una carriera, ai figli, al cinema, al tuo immane talento?
Philip Seymour Hoffman era (che strano parlare di lui al passato!) uno di quelli che volente o nolente ci ha accompagnato nel nostro apprendistato a riconoscere i veri capolavori cinematografici. La sua presenza in un film era già una garanzia; se vedevi il nome di Hoffman tra quello degli attori protagonisti, eri sicuro che quella pellicola meritava una visione. Dio non l’avrà dotato di una bellezza adonica, ma santo cielo se l’ha ricompensato con un talento immane! Immane quanto la sua stazza da Orso Lotso di Toy Story diranno i maligni, ma a me, a noi, che apriamo le porte delle nostre camere, delle nostre sale, e poi piano piano quelle delle nostre fantasie, che amiamo il cinema per il suo essere macchina realizza-sogni, che ci importa se uno non è un Adone? A noi interessa l’attore che ci faccia rimanere a bocca aperta, cribbio! Siamo amanti del cinema, non delle sfilate di alta moda! Vogliamo vedere grandi attori, i modelli li lasciamo ad altri. E Philip era bello quando recitava, era un portento di bravura, che migliorava perfino gli attori attorno a lui, anche se si trattavano delle peggio schiappe; con lui a fianco divenivano tutti attori da Oscar. Tutti questi elogi non li sparo gratuitamente, sia chiaro; e nemmeno affermo tutto ciò perché spinta da una vena buonista ora che lui non c’è più; dio me ne voglia dal far parte di quella massa di pseudo-cinefili che si riscoprono suoi ammiratori solo perché il signorino ha deciso di tirare le cuoia. Tutto ciò lo dico perché lo penso, anzi vi dirò, faccio una mera e semplice constatazione: Philip Seymour Hoffman era un attore con le contro-palle, non cercava il successo facile prendendo parte a grandi blockbusters, preferiva i film più di nicchia, più impegnati; ricercava quei ruoli che gli davano la possibilità di misurarsi con sé stesso, di mostrare quel talento che celava dietro quell’aspetto da orso biondo perennemente imbronciato. The Master, Il Dubbio, Onora il padre e la madre, Quasi Famosi, La guerra di Charlie Wilson e tanti, tanti altri… Alzi la mano chi, vedendo questi film, non abbia pensato “oh, però il biondo qua è bravo!”. Io una frase simile l’ho pensata proprio sabato, un giorno prima che si diffondesse la notizia della morte di Hoffman; stavo riguardando Il Dubbio e rimuginavo su quanto bravo Philip (perché tu gli attori non li chiami mai con il cognome, ti rivolgi a loro chiamandoli per nome, proprio come si fa con gli amici) fosse e che era proprio uno spreco non averlo insignito di un altro Oscar nelle ultime edizioni degli Academy Awards. Poi bum! Ti arriva la notizia shock, e ancora più scioccante è la notizia della causa della morte; overdose da eroina. Che era drogato si sapeva; che aveva cercato per anni di combattere il fantasma della tossicodipendenza anche; ancora una volta siamo costretti a fare i conti con la terribile verità: gli attori non sono eroi, non sono immortali, e di certo non sono tanto forti quanto ci fanno credere sul grande schermo. Ma vi prego! Non criticateci se ci arrabbiamo perché incapaci di comprendere il motivo per cui un attore così bravo, così dotato di talento, abbia sorriso all’autodistruzione e girato le spalle alla vita. Non è giusto; ma che vogliamo farci. Andiamo avanti.
Addio Master. Addio Conte.