Potremmo dire che il repertorio scelto dall’Orchestra della Toscana per il suo concerto al Teatro Verdi di Pisa martedì scorso sia stato guidato da un preciso leit motiv, ovvero il racconto (in musica) della notte. E noi (cioè io) che su questo tema ci abbiamo dedicato un intero programma radiofonico, ci siamo sentiti subito a casa nostra. Il giovane direttore Daniele Rustioni, che già avevamo apprezzato nella sua performance con l’ORT l’anno scorso insieme alla violinista Francesca Dego, questa volta torna a sorprenderci con una serata in cui si mescolano toni elegiaci, rarefazione meditativa, cantabilità e visioni interrogative.
Il concerto sin dall’esordio è dedicato alla memoria di Claudio Abbado, il cui contributo alla musica è qualcosa che supera il rigore analitico delle sue interpretazioni o la ricerca sonora delle sue orchestre, ma si fissa come un passaggio fondamentale nel percorso di un “umanesimo musicale”.
Dopo un discorso in ricordo di Abbado pronunciato dal direttore Rustioni, si parte con la prima opera in repertorio: Piccola musica notturna di Luigi Dallapiccola. Una pagina relativamente recente se si pensa che è stata eseguita per la prima volta nel 1954. Rispetto alla voga dodecafonica imperante in quel periodo rappresenta una visione “eterodossa”, innestandosi pienamente nella ricerca seriale di Dellapiccola, che utilizza una Allintervallreihe, in cui vengono serializzati non solo i suoni, ma anche gli intervalli. L’opera è profondamente intrisa di poesia, infatti in calce alla partitura è contenuta una lirica di Antonio Machado, Noche de verano (Notte d’estate). Non è nuova questa “collaborazione” con il poeta andaluso, infatti qualche anno prima Dallapiccola aveva composto le Quattro liriche di Antonio Machado, per soprano e pianoforte.
Per quanto nella sua versione per orchestra richieda quasi una formazione orchestrale del Settecento viennese (con la presenza anche di un’arpa, una nutrita sezione percussioni e celesta), in realtà l’uso dell’orchestra è quasi cameristico. Quest’opera, inserita in un concerto dedicato ad Abbado, risponde in realtà appieno al modo di operare del grande direttore, cioè far suonare le orchestre come se dovessero riprodurre musica da camera. E l’ORT riesce molto bene in questo intento.
Arriva il momento più atteso della serata, ovvero l’ingresso del violoncellista armeno Narek Hakhnazaryan. Non passa un attimo da quando si accomoda accanto a Rustioni che già partono le note di Schumann e del suo Concerto in la minore per violoncello e orchestra. “IL” concerto. Cioè il pezzo canonico per tutti i grandi solisti, per quanto non conceda particolari sfoggi virtuosistici. Innanzitutto si tratta di un caposaldo del repertorio romantico, che però ha scontato il fatto di essere stato scritto in un periodo (1850) in cui lo stesso Schumann sentiva che era suonata l’ora dell’avvenire, e perciò si trovava sospeso tra il desiderio di non tradire la tradizione che lo aveva preceduto e la volontà di sbarazzarsene e di andare oltre, un contrasto che da li a poco lo avrebbe portato al tracollo psicologico.
L’orchestra in quest’opera sembra che sia confinata a un ruolo d’accompagnamento essenziale, in realtà questa partecipazione distaccata serve ad esaltare la centralità del violoncello, offrendo al contempo un affresco di grande lirismo espressivo, che finisce per abolire un lascito della tradizione formale: i tre movimenti, che appartenevano alla consuetudine classica vengono saldati in un solo articolato movimento. L’orchestra segue segue i percorsi intimi sofferti e complessi del violoncello e approda a una più coinvolgente definizione tematica solo verso la conclusione. L’interpretazione di Hakhnazaryan si dimostra capace di portare in dote a questa pagina molteplici e sottili sfumature espressive, grazie anche al suono del suo David Tecchler del 1698, che ha reso vibranti e commoventi i suoi “soliloqui”, aprendo così squarci di profondità insondabili, alternati da sprazzi di una chiarezza melodica accattivante.
Alla fine del concerto di Schumann, il giovane Hakhnazaryan ha proposto un fuori programma “contemporaneo” in onore di Claudio Abbado. Potete capire la sorpresa per un ascoltatore palermitano, fan sfegatato di Giovanni Sollima, nell’ascoltare la sua struggente Lamentatio suonata da un simile fuoriclasse del violoncello. Ci sono rimasto di sasso, quasi del tutto rapito nel sentire quei vocalizzi di dolore che si accompagnano al violoncello. Quel brano lì, nella gola di un giovane armeno, appartenente a un popolo che ha subito uno dei più devastanti genocidi dell’epoca contemporanea, diventa un pezzo di deflagrante commozione.
La seconda parte del concerto parte con il Notturno n.1 in Sol bemolle per orchestra di Giuseppe Martucci, praticamente una delle opere più celebri del compositore partenopeo. Siamo assolutamente in linea con il filone romantico di Schumann, infatti è considerato come compositore un continuatore della linea Beethoven-Schumann-Brahms. Purtroppo su questo compositore ha pesato lo stigma di essersi allontanato dalla tradizione melodrammatica italiana, ed essersi rivolto a modelli esteri (tedeschi principalmente) per svecchiare il repertorio romantico. Innovatore in Italia, ma epigono in Europa… da questo sfasamento è nato il drappo di oblio che ha nascosto le opere di Martucci, ma almeno il notturno in programma si è salvato da questo destino. Questa pagina è una sorta di manuale del sentire tardo romantico: possiede un tono malinconico avvolgente e una cantabilità davvero intensa, utilizzando un linguaggio armonico fatto di ritardi, cromatismi e appoggiature. La presa è immediata, come un easy-listening di natura crepuscolare sa essere.
Ultima opera in programma è la Sinfonia n.1 in do maggiore di Felix Mendelssohn-Bartholdy. Per l’ORT rappresenta la sinfonia che conclude l’integrale delle opere di Mendelssohn, ma è anche una scelta mirata per via dei legami che condivide con l’opera di Schumann, cioè si tratta di un’opera sospesa tra una formazione conservatrice e il desiderio di seguire nuovi modelli. Voleva essere un’opera ambiziosa per quanto il compositore avesse un’età giovanissima quando la mise su carta: 15 anni! E vale la pena ricordare che, prima di questa sinfonia, Mendelssohn ne aveva già scritte ben 12.
L’ambizione di quest’opera sta nel superamento della forma sinfonica per archi per accogliere, invece, l’intera orchestra. L’impianto compositivo è ispirato al classicismo strumentale viennese, ma ci sono già degli elementi di marca già personale: nel primo movimento Allegro molto, l’attacco è decisamente “romantico”: viene presentato senza essere preceduto dall’introduzione lenta, ha uno slancio subito prorompente, e acquista via via uno spessore sempre maggiore nel corso dello sviluppo del tema, duellando con il lirismo dei violini primi, oboe e flauto che introducono il secondo tema in mi bemolle maggiore.
Non volendo entrare nella descrizione minuta dei singoli movimenti, possiamo subito dire che questa pagina ha messo in luce le grandi capacità del reparto legni dell’ORT, in particolare clarinetto e flauto. Gli spunti più coloristici del primo movimento hanno premiato la direzione di Rustioni, che è stata impeccabile. Durante le varie opere in repertorio abbiamo notato come gli attacchi li dà più con lo sguardo che con i gesti, e si è inoltre ripulito di qualche saltello di troppo che avevamo notato l’anno scorso. Anche l’ORT ha offerto una prova brillante e di tutto rispetto: precisa sia nei momenti sinfonici che in quelli più cameristici. Lunghi applausi da parte del pubblico hanno coronato giustamente la prova di generosità musicale offerta da Rustioni e dall’Orchestra della Toscana.
Giuseppe F. Pagano
Redazione musicale
Tutte le foto del concerto le trovate qui.