Se dovessi dire quale sia il genere musicale più “social”, direi senza dubbio il jazz. In che senso? Beh, alle volte ti basta conoscere un nome di un ottimo interprete italiano per aprirti ad un mondo di progetti e formazioni, e arrivare dunque a conoscere musicisti di livello analogo. “Amici di amici” si direbbe. Questa e molte altre impressioni mi ha destato l’ascolto di un dream-team come quello che porta il nome di The Roar at the Door. Questo progetto raduna quattro nomi di assoluto interesse per la scena jazz europea: Raffaello “Lello” Pareti al contrabbasso, Francesco Bearzatti al sax tenore e clarinetto, Mauro Ottolini al trombone e Walter Paoli alla batteria. L’occasione per conoscerli dal vivo è offerta dall’Ex Wide, un locale che ormai, anno dopo anno, ha reso Pisa una delle piazzeforti italiane più robuste in termini di offerta jazz. I nostri si sono esibiti sul palco della Wide mercoledì 11 dicembre, in quella che sicuramente è stata una gustosa anteprima della rassegna Jazz Wide Young 2014.
Prima di sentir parlare di The Roar at the Door, ho seguito le gesta di Lello Pareti, ovvero la sua partecipazione nell’Orchestra del Titanic con Bollani e Salis, oppure Il circo del 2003, con le featuring di Stefano Cantini, Antonello Salis e Bebo Ferra. Quindi mi è sembrato più che sufficiente per concedermi la scoperta dei suoi nuovi amici. Ciò mi ha condotto a scoprire un Pareti nelle vesti di domatore e conduttore di tre felini di razza che fanno ruggire letteralmente i loro strumenti.
L’ironia è uno degli elementi che ho immediatamente riscontrato nell’ascolto e anche nella mimica di questi musicisti. Un’ironia che funziona anche come collante tra estri diversi, e come leitmotiv in un percorso musicale eclettico, che dal vivo ha manifestato tutta la sua potenza evocativa: dall’Est europeo con vaghi sapori di Klezmer, sino ai suoni d’ispirazione circense, per arrivare poi al Nuovo Mondo, tra i sobborghi di New Orleans, le avanguardie di Chicago e i nervosismi metropolitani della Grande Mela, non senza uno spruzzo di funk conferito dal trombone di Ottolini. Tanta, tanta carne al fuoco, condita con le spezie di scherzi, sberleffi, dialoghi buffi, che in pochi istanti passano il testimone ad assoli lirici con una facilità che lascia senza fiato. Il momento più divertente sicuramente è stato il gioco di culisse con cui Ottolini ha imitato il suono dello scratch, con tanto di mosse da mc hip-hop consumato.
Lello è il compositore dei pezzi originali che sono stati proposti sul palco, ed è proprio la sua mano a conferire ai pezzi una linea melodica certamente familiare per chi lo conosce. L’intero progetto poi risulta equilibrato anche in live, grazie al tandem di fiati e agli incastri perfetti nati dalla sezione ritmica. C’è un ordine che quindi sovrasta i ruggiti del quartetto, un gioco preciso di rimandi, di espressività incrociate, con un interplay che esalta proprio perché imprevedibile. Il drumming incalzante e preciso di Paoli (straordinario il suo contributo peraltro alla nuova formazione degli Area) è senz’altro il termometro del brio che i nostri Roar sono capaci di creare sul palco.
Quello che vedo sotto-palco, tanto per dirvi la cifra della spinta propulsiva di questo progetto, è una Petra Magoni che si dimena da seduta, e i volti di tanti amici musicisti davvero compiaciuti. Tra i brani che mi hanno più preso segnalo Pentalife, Diavoletti ingegnosi con una intro spassosissima, e la sorniona De profundis per il ceto medio. E poi c’è un brano inedito, ancora senza titolo, che hanno proposto sul palco, che possiede una bellezza inaudita, e infatti li pregherei di metterlo in pianta stabile in scaletta, e magari anche di registrarlo.
Che dire? Grazie Lello Pareti che mi hai fatto conoscere dei musicisti così in gamba. Radioeco aggiornerà le sua rotazione jazz sicuramente con almeno un paio di pezzi di The Roar at the Door.
Giuseppe F. Pagano
Redazione musicale
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