Mancavano poche ore al treno che mi avrebbe riportato a casa e sentivo il vuoto dentro di chi, continuamente affamato di buona musica elettronica, passa interi mesi dell’anno a guardare eventi in giro per l’Europa o le webcam di Boiler Room. Il Club to Club, come poche altre manifestazioni del genere, cerca con successo di colmare il vuoto cronico di una scena italiana divisa tra PR, EDM plasticosa e lotte tra poveri.
Il festival torinese spicca, come la Mole tra i tetti, portando all’attenzione del numeroso pubblico che ha affollato gli spazi della Fondazione Rebaudengo, del Teatro Carignano, dei Cantieri OGR, del Lingotto e del Boiler Club, una line-up all’altezza dei migliori festival del mondo.
Venerdì sera sono arrivato alla Fondazione Rebaudengo in tempo per il set di Lee Gamble, che ha toccato i timpani dei presenti con il suo sound sperimentale. Nulla di nuovo nella sequenza dark a volte monotona, ma un segnale preciso della finalità del festival: partire dalla sperimentazione per arrivare alle tendenze dell’elettronica moderna, proposte nei live successivi.
Il viaggio dallo Headquarter del festival alle Officine OGR è stato un gioco da ragazzi con la navetta messa a disposizione da uno degli sponsor del festival, che ha scarrozzato comodamente il pubblico da una location all’altra. L’anno prossimo, magari, mettiamone una in più.
L’ambiente industrial si riempie lentamente con le sonorità oscure e suggestive di The Haxan Cloak per poi lasciare spazio al set fuori di testa dei Niños du Brazil. Dall’impianto esplode un’ondata di energia, con le due batterie percosse allo sfinimento e il beat travolgente steso sotto l’esecuzione dei due ragazzi di casa, mentre vengono proiettati spezzoni di Brasile-Italia del ’70 sui tre maxischermi allestiti sul palco. Spianano la strada per il djset di Holden, impeccabile nel suo fluire progressivo tra techno e house.
Il pubblico sotto il palco attende impaziente il live set dell’autore di uno dei migliori dischi ascoltati quest’anno. L’eccitazione di ascoltare i brani di Immunity in versione live è grande, ma Jon Hopkins non delude. Il suono è travolgente e colorato da sfumature techno, glitch, dubstep, tappeti cristallini e casse dritte che spaccano l’aria come coltellate sul legno. La resa dal vivo dei suoi pezzi è potentissima e l’esecuzione da maestro offerta da Hopkins fa volare via quell’oretta in un soffio. Vi giuro, non volevo che finisse mai.
Andiamo all’Hiroshima facendo da navetta tra una sala e l’altra, dove, tra i vari set annunciati, manca quello del neo-papà Todd Terje. Troviamo però la solita Nina Kravitz, che offre il suo solito spettacolo, litigando tutta la sera col Technics che non ne vuole sapere di girare per il verso giusto, e Objekt, che dissemina bombe techno e electro facendo impazzire il pubblico nella saletta 2. Si segnalano anche la buona performance del giovanotto Koreless, con un live molto compatto e divertente nelle sue sonorità, e il djset deep di Kyle Hall, davvero figo. Anzi, se qualcuno alla lettura avesse colto il titolo dell’ultimo pezzo, me lo comunichi, avevo il telefono troppo scarico per usare Shazam.
Poi viene il gran finale che è la storia di un successo garantito dalla squisitezza di una line up in cui Four Tet è la punta di diamante, con gli altri super act a ruotargli intorno. Four Tet emoziona e dà una gioia incredibile con il suo live che è un misto tra sogno e potenza, passaggi sorprendenti e disorientanti, suoni curati alla perfezione che accarezzano e picchiano duro. Sul maxischermo il suo nome si miscela ai visual. Ma non solo. Ad un certo punto compare la scritta “Burial” e dal pubblico scoppia un boato. Sei un burlone Kieran!
Il live rumoroso e ipnotico dei Fuck Buttons è stato anticipato dalla house calda e tranquilla di un grande John Talabot (fresco fresco di DJ Kicks) e dalla brillantezza mista a violenza dei suoni dei Diamond Version, che portano al djset, a tratti live, dei devastanti Modeselektor, che ribaltato il numerosissimo pubblico riversatosi in massa nell’area fiere del Lingotto. Tamarri? Vaffanculo agli spocchiosi. Il loro sporco lavoro l’hanno fatto, con un ora e passa di techno drittissima in cui sono state miscelate anche le loro bombe di fabbrica.
La faccia di Bashmore durante il set di “quelli di Berlino” è stata emblematica.
Una volta salito sul palco, Julio continua con la scia techno srotolando un set molto compatto, in cui infila le sue bombe da big-room, come Au Seve, per accontentare i fan. Ben Ufo chiude il main stage e accompagna tutti all’uscita con un set sopra le righe che sa di tutto fuorché di chiusura, visti i ritmi incalzanti della sua selezione.
Poi c’era la sala rossa come il fondo scala di un termometro che misura temperature altissime. E così è stato sin dall’apertura di Giorgio Valletta fino ad arrivare alla chiusura mozzafiato di un Andy Stott in grande spolvero. In mezzo sottolineo il live di Machinedrum, molto atteso dal sottoscritto, che non ha deluso le attese in termini di potenza del beat e trascinamento sonoro. Le tracce di Vapor City accompagnate live da un batterista, vera e propria macchina rullante, sono prelibatezze che riscaldano mente e articolazioni. Il proiettore non ha resistito all’emozione e si è spento dopo dieci minuti. Il bello della diretta. In mezzo un rinnovato Vaghe Stelle e i siluri trap futuristici di Rustie.
E poi Kode9, forse il vero protagonista di questo festival, nella cui cornice ormai si sente a casa. Il djset della sala Red Bull è un insieme di bassline, footwork, trap, funk e grime scagliato alla folla.
A Great Symphony for Torino è davvero un capolavoro di una bellezza che guarda oltre il tempo e che arricchisce l’immenso patrimonio storico della città piemontese, proiettandoci verso un futuro che il Club to Club ci sta facendo assaporare.
L’idea di sonorizzare gli spazi e poi mostrare i risultati nel workshop di sabato pomeriggio è estremamente riuscita per il coinvolgimento dei talenti del luogo, degli studenti dello IED e della città intera. Bastava fare un giro su Instagram per notare i numerosi scatti degli utenti che ritraevano gli spazi.
L’unione del locale all’internazionale è stata una leva del successo di questo festival dal quale molte realtà dovrebbero prendere spunto. Leggere alla voce “valorizzazione del made in Italy.
Il Club to Club Festival viene dunque promosso con una pagella di voti alti e meritati sotto diversi profili. Ma attenzione. Il pubblico è esigente e, una volta educato, si aspetta, ogni anno, qualcosa che alzi l’asticella dell’edizione precedente, ma pare che questo a Torino lo sappiano fare e, questa volta, l’hanno fatto dal primo all’ultimo giorno, dall’esibizione di Holden al Carignano, alla chiusura di Bambonou al Boiler Club, passando per il live di The Field e dei nostrani Angle. Finalmente un weekend in cui l’Europa è stata guardare lo spettacolo, forse anche con un briciolo di invidia.
#C2C 13 from Salvatore Delle Femmine on Vimeo per Dance Like Shaquille O Neall.