SECRET PARTY #RS10 – La festa per i 10 anni di Rolling Stone Italia

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Secret Party non a caso: su internet era impossibile trovare anche la minima indiscrezione, se non l’articolo sul sito ufficiale di Rolling Stone dove ci si limitava a dire che, per il decennale del magazine, si sarebbero esibiti i Bloody Beetroots; tra l’altro annunciati volutamente a ridosso del 21 novembre, il giorno della festa, per alimentare l’hype il più possibile, come fanno quelli bravi.

Per risultare “esclusivi ma non troppo”, per tendere una mano alla folta schiera di lettori che in questi anni hanno contribuito al successo del suddetto magazine (diffidando dalle imitazioni e mostrando intelligenza, aggiungo io) la redazione di RS Italia ha lanciato diversi contest su Instagram, in cui avrebbero premiato con l’invito al party le dieci migliori foto. Il destino (o meglio, l’azzeccato uso dei filtri) ha voluto che tra i dieci premiati vi fossi anch’io, grazie ad una foto dedicata alla copertina di Agosto 2008 che ritraeva una Amy Winehouse nel pieno del suo successo e, soprattutto, ancora viva (ci ha lasciati nel 2011, ndr).

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L’entrata di via Sarpi 6

Ricevuta la mail di conferma della vittoria, parto radioso verso la cupa Milano, destinazione via Sarpi 6.
I prezzi proibitivi molto somiglianti allo strozzinaggio da parte di Trenitalia fanno sì che riesca ad arrivare alla festa con un po’ di ritardo, perdendomi la maggior parte dell’esibizione cyberpunk dei Bloody Beetroots.  Per chi non li conoscesse, i BB suonano tutti col volto coperto dalla maschera di Venom, e sono la risposta più efficace a tutti i polli d’allevamento dei vari talent.

The Bloody Beetroots Live @Secret Party #RS10 – Milano

È il progetto di Sir Bob Cornelius Rifo, polistrumentista, poliedrico e soprattutto molto furbo. Ha saputo vendere la propria immagine al meglio, creando un’identità tanto misteriosa quanto accattivante (vi dicono qualcosa i Daft Punk?), grazie ad una grande attenzione al look e ai dettagli, all’uso sapiente del bianco e nero nelle foto, diventando il simbolo della cosiddetta coolness che tanto piace a quelli che vogliono sentirsi avanti. Ma soprattutto forte di numerose collaborazioni prestigiose con artisti internazionali (da Steve Aoki a Tommy Lee, fino ad arrivare persino al baronetto Paul McCartney), che lo hanno portato ad essere famoso prima all’estero che in Italia. Questo la dice lunga su come sia stato educato ed abituato il popolo itagliano negli ultimi anni, dal punto di vista musicale e non solo. Non perché i Bloody Beetroots siano imprescindibili, anzi. L’astuzia di Bob Rifo è tangibile anche nella caratterizzazione che ha dato al proprio sound: più che elaborare un nuovo stile ha saputo contaminare molti “già sentiti” in una miscela coinvolgente, fintamente complessa, e, diciamocelo, godereccia.

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L’ambito braccialetto che faceva da pass

I BB si divertono e fanno divertire, è questo il punto. Ed è proprio quello che è successo anche al Secret Party. Ho visto andare via subito dopo la fine dell’esibizione un soddisfatto Francesco Mandelli. Ho visto un entusiasta Stefano Fontana, aka Stylophonic. Ho visto scaldarsi sotto al palco molte ragazze in abiti succinti che fino a pochi minuti prima, fuori in fila con 4 gradi e la pioggia incessante, avevano rischiato seriamente la morte per assideramento.

Io invece avevo rischiato seriamente di non entrare. Al mio arrivo, i simpatici buttafuori mi comunicano, con il loro proverbiale garbo, che il locale era pieno e le liste erano chiuse, e che quindi non sarebbe entrato più nessuno.  Ho dovuto ricorrere a tutto il mio self control per non peggiorare la situazione, che comunque mi sembrava già ampiamente compromessa.

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Momenti di sobrietà: Iggy Pop & The Stupids.

Una sensazione di impotenza che non dimenticherò facilmente. Poi, l’illuminazione: avevo memorizzato il numero di colui che mi aveva mandato la mail d’invito, un membro della redazione web di RS. In un tentativo disperato lo chiamo, nel bel mezzo della festa, senza sapere bene cosa gli avrei detto. Lui non solo risponde, nonostante i Bloody Beetroots stiano facendo saltare anche le pareti, ma esce, si mostra gentile e molto disponibile, mi dà il braccialetto che mi consente l’accesso, e rasenta lo stoicismo quando si immola contro l’adorabile buttafuori di prima, che mi ferma di nuovo, in una discussione di qualche minuto (che mi è passata come un’eternità) dall’esito positivo.

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Amici di vecchia data. Conosciuti tre secondi prima.

Una volta dentro, mi sento profondamente fuori contesto, il che mi diverte molto. Un provinciale nel covo della cricca di chi lavora nell’ambito della comunicazione. Neanche nei film dei Vanzina. Vengo riconosciuto e salutato da Manlio Benigni (una delle firme storiche di Rolling Stone, con cui ogni tanto mi sono intrattenuto su Facebook) in un inaspettato paradosso, prima ancora che io possa tributargli tutto il mio orgoglio nel potergli stringere la mano, tanto mi è stato da guida in questi 10 anni di RS. Da lì, un susseguirsi di conoscenze che a loro volta mi presentano amici di amici, dove se non mantieni alta la guardia ti potresti bere qualsiasi cazzata ti venga raccontata, tanto sei abbagliato dallo scintillìo di belle ragazze e pseudo-vip che se la menano oltremodo. «Vanità, decisamente il mio peccato preferito» come sentenziava un mefistofelico Al Pacino alla fine dell’Avvocato del Diavolo. Infatti funziona che quelli più smaniosi di attenzione sono i bramosi della fama, dell’essere al centro dell’attenzione, sia pure solo per quella sera. Mentre invece vedo un tranquillo Federico Russo ragionare di “tipe” (strano) con un amico e una Marisa Passera intenta solo a fumarsi la sua sigaretta in santa pace, più che essere preoccupati di tirarsela per far parte di Radio Deejay.

IMG_0640Dopo aver fatto amicizia con un fotografo freelance e un’art director spagnola, Iole, mora e da sposare all’istante, mi intrattengo con un giornalista, tale Eugenio (il cognome è sparito dalla mia mente alla quarta birra ˗ la davano gratis…), un tipo sveglio e molto piacevole, che un po’ mi sfotte dicendomi che ho «l’attitudine rock à la LCD Soundsystem», e poi si offre di presentarmi Lui, il Boss, il capo di tutta la baracca: Michele Lupi, co-fondatore e direttore responsabile di Rolling Stone. Ma ormai sono vittima di una congiura da parte dei buttafuori, infatti un terzo, sulle scale, ci impedisce di raggiungere il direttore. Peccato, spero che mi capiti un’altra occasione. Saluto Eugenio, saluto il fotografo, do un ultimo sguardo a Iole (sempre sia lodata), e mi incammino verso l’albergo, in una piovosa notte che mi porterò dentro per molto tempo, più a livello intellettuale che emozionale. In fondo, sono proprio le serate che preferisco.

Iacopo Galli

Redazione musicale