Orsorosso racconta: Gipi, Unastoria e le risposte complesse al Circolo dei Lettori

Piazza Castello è umida di una pioggia ormai passata, l’ora di cena è stata ignorata per cercare di arrivare in tempo. Tra me e me provo a chiedermi quanta gente volesse provarci. La sala degli incontri al Circolo dei Lettori è grande. Quanti smaniosi di fumetti verranno ad occupare le sedie in prima fila, quanti affamati di schizzi che non son riusciti ad accaparrarseli al Lucca Comics ci proveranno.

Io che mi porto sempre dietro il bambino che è in me, tengo nello zaino la raccolta che mi regalai quando capii che era il momento. Comprende Esterno Notte, S., La mia vita designata male. Vivi anni a Pisa, bevi un numero imprecisato di ponce alla Tazza d’Oro, conosci tutte le persone che lo han frequentato per anni, che hanno recitato nei suoi corti della Santa Maria Video. Gipi, ad ogni modo, non lo incontri facilmente “in città”. Vicopisano è la sua tana, quel colle da cui guarda dall’alto la piana che va scendendo fino ad un orizzonte marino che puoi scorgere nelle migliori giornate. Un cielo che è passato dalla meraviglia di Ezra Pound e di Keith Hering, e che ora puoi trovare in decine, centinaia, migliaia di tavole di Gipi. Fidati, se vai salendo verso Calci, Cortemagno, o per il foro che va a Lucca, guardati dietro: quel cielo lo riconosci.

Ora sei a Torino ed hai tutto questo nella mente, entri in via Po, giri a destra e ti infili nel grande palazzo per salire verso il Circolo dei Lettori. La sala è piena, e quando la sala è piena l’unica cosa da fare è sgomitare fino a dopo la prima fila di sedie, sedersi per terra e avere la meglio. Mi siedo e vicino a me c’è anche una bella bambina dai lisci capelli castani che attende, attenta, che tutto cominci. Su un telo scorrono proiettate le tavole dell’ultimo fumetto di Gipi, Unastoria. Riconosci quel cielo che sovrasta la stazione di servizio. Tutto sembra cominciare quando il regista Paolo Virzì sale sul piccolo palco che accoglie due poltrone e un tavolino. Lui sta in piedi e col microfono presenta ciò che sta per accadere. Virzì, livornese, lo considera il più grande autore di storie a fumetti vivente, “nonostante sia un pisano”. La platea ride e con l’applauso accoglie l’entrata di Gipi e del suo interlocutore della serata, lo speaker di Radio24 Matteo Caccia.

Gipi tira fuori tutto se stesso. Il suo rapporto con Facebook e Twitter: “per me i social sono come le medie, stai all’ultimo banco, fai le palle di carta e le lanci davanti”. Le prese in giro a grillini, complottisti. La migliore è per i fascisti: “gli ho chiesto se utilizzare file compressi potesse ledere la mia integrità”. Ma è quando Gipi parla di ciò che ama che chi ascolta si zittisce. Il fumetto, il disegnare, il gesto. E’ alta l’attenzione di quando parla dei cinque anni in cui non riusciva a creare nulla. Era andato a vivere a Parigi, dove era “famosino”. Era arrivato il momento nella vita in cui piove merda, cominci a chiederti se hai davvero bisogno di stare con quella donna, di frequentare persone che non fanno altro che dirti quanto sei bravo. Continui a sentire un buco al centro del petto dove soffia un vento ghiacciato, quello che senti quando cresci in una famiglia dove tutti vogliono solo il meglio da te. Finisce che vai a gattoni a bussare a psichiatria, perché hai qualcosa che non va e vuoi che qualcuno ti dica cosa diavolo sia. Ti danno da prendere delle pillole che non prenderai, sai perfettamente che hai bisogno di circondarti di quelle persone che continuano a prenderti per il culo perché sarai famoso, ma rimani il solito scemo. Alzarti la mattina, “girare gli occhi fuori e guardare tutto il bello che c’è”.

“Uno scrittore americano”, gli dice Matteo Caccia, “mi ha detto che sono le storie a venire da te”. “E’ proprio così”, risponde Gipi. Ci parla di quando una mattina quei cinque anni sono finiti. Ha evitato Grand Theft Auto e gli strumenti musicali. Si è seduto, ha preso matite e colori e ha tirato fuori quel cielo e quella stazione di servizio, scrivendoci sopra dammi risposte complesse. Ha trovato lo specchio nella sua creazione. Lì ha capito che stava arrivando una tavola dopo l’altra, un disegno dopo l’altro. Stava arrivando Unastoria.

Chi ha vissuto a Pisa ed ha un minimo di sana follia nell’animo è entrato almeno una volta nella costumeria Priscilla. Era la bottega dei travestimenti e dei costumi di Annalisa Pacinotti, la sorella di Gipi. La sorella che Gipi definisce “la sua coscienza”. Quella che prima di andare dalla Bignardi lo sente e gli dice di andare tranquillo, di stare attento a cosa dire. Parla di lei e parla della sua invidia inconscia che prova per quei fumettisti di cui ha saputo la bravura da terzi. Evita a tutti i costi di leggere le loro storie, finchè non lo fa e se ne innamora. Così è stato per Makkox, per Zerocalcare che lo ha battuto nel record di vendite di un fumetto. “Spero moia”, scherza.

Arriva il momento delle domande e il mio amico sardo Stefano da Siddi prende parola dal fondo della stanza per fargli i complimenti per L’ultimo terrestre e per chiedergli del passaggio dal fumetto/storybord all’immagine mobile del cinema. Mettersi alla macchina da presa era un qualcosa che lo affascinava e che non vedeva l’ora di fare. Gipi dice di voler imparare a far tutto, e quando Matteo Caccia gli chiede cosa non sa ancora fare lui risponde “lo snowboard”. La ricordate la bella bambina dai lisci capelli castani vicino a me? Si gira verso la ragazza al mio fianco, tira su la felpa e le mostra la maglietta su cui è disegnato uno snwoboard sussurrando “io lo so fare”. Dopodiché attiriamo il microfono nella nostra direzione, perchè è proprio lei che vuole fare una domanda a Gipi. La sua piccola voce bambina si espande nella sala. “Vorrei chiederti una cosa, io vorrei sapere come fai a creare le tue storie, perché io sto scrivendo una storia…cioè, non è proprio una storia, è un romanzo”. La gente in sala ride. La bambina, in maniera naturale, guarda la platea e la entusiasma con un sacrosanto “non c’è niente da ridere”. Gipi le risponde con la naturalezza di chi sa insegnare le cose semplici, perché è dalla semplicità di ciò che vuoi raccontare che si parte, sempre. “Di cosa parla il tuo romanzo?”, le chiede. “Di un uccello che parla ad uno scrittore solo”. Rimaniamo tutti a bocca aperta, Gipi le dice “Io ti adoro”. La stiamo adorando tutti, e forse un po’ la invidiamo.

Si chiude il dibattito, io scappo in bagno e quando torno una folla interminabile aspetta il suo autografo sulla copia appena comprata di Unastoria. Prima di andar via osservo un poco la scena, soprattutto il momento in cui la bambina si avvicina a Gipi per farsi fare dalla mamma una foto con lui. Tra una chiacchiera e l’altra esce fuori una curiosità che non riesco a tenermi dentro. La bambina è la figlia dello scrittore Davide Longo. Mentre scrivo tiro fuori il suo libro che sto divorando in questi giorni, Il mangiatore di pietre. Lo rigiro e ripenso alla frase che ha scritto Gipi, quando era l’ora di chiuderlo, quel buco nel petto. Una frase da tatuarsi nella mente.

Dammi risposte complesse.

 

Maurizio orsorosso Amendola