[live report] Festival Film Roma – Goodbye!

  • by

Quando ritorni reduce da un festival come quello del cinema di Roma, o di Venezia, il tuo corpo, ma soprattutto la tua mente, ha bisogno di un bel po’ di tempo per rendersi conto che stai ritornando alla vita normale di tutti i giorni; non devi più alzarti all’alba con quel terribile dubbio amletico su quale film dovrai scegliere di vedere, e a quale invece rinunciare; non dovrai più andare avanti a panini o a Kinder Bueno, quindi almeno per un altro buon paio di mesi, intere fabbriche di dolci e schifezze faranno a meno delle tue fortune. Come un astronauta che dopo sei mesi a spasso nell’universo in totale mancanza di gravità, una volta tornato sulla terra, ha bisogno di settimane, se non mesi di riabilitazione per riabituarsi a quella forza che lo fa attaccare al suolo, oramai dimenticata, così noi poveri reduci da festival ci mettiamo giorni prima di ricominciare a svolgere una vita normale, che non sia solo fatta di stare in piedi attaccati alla transenna di un red carpet, o fissi col collo in su a guardare con la bocca aperta uno schermo cinematografico.

Ecco spiegato il perché mi ritrovo solo ora, a una settimana dal mio ritorno, a cercare di scrivere un resoconto abbastanza decente sulla quarta giornata del festival (l’ultima per quanto mi riguarda).
Lunedì 11 novembre, l’Auditorium del parco e della musica di Roma si è inebriato di una forte carica di romanticismo, ma di quel romanticismo bello peso. A farla da padrone, infatti, è stata l’ennesima rivisitazione della storia d’amore per antonomasia, quella che vede protagonisti ancora una volta un certo Romeo e una certa Giulietta. A raccontare la storia sfortunata dei due amanti veronesi (ma dai, che ce ne era davvero bisogno?) questa volta è toccato a Carlo Carlei, il quale si è avvalso di giovani attori ancora poco conosciuti al grande pubblico (ad eccezione a quanto pare di Douglas Booth, alias Romeo, visto l’orda di ragazzine impazzite sul red carpet, presenti sin dalla mattina tutte per lui) per dare corpo e anima (si fa per dire) ai due giovani protagonisti. Dirvi cosa racconta il film penso sia inutile; voglio dire, ormai anche il cane della mia vicina conosce questa storia nata dalla mente di quel geniaccio inglese di William Shakespeare a memoria (come abbaia “o Romeo, Romeo perché sei tu Romeo” lui non lo abbaia nessuno). Parliamo allora di come Carlei ha ridato vita all’opera shakespeariana. Prendete la versione trash-moderna di Baz Luhrman e mettetela da parte; prendete quella firmata da Franco Zeffirelli e ricavatene una versione debolmente recitata e poco destinata a rimanere negli annali dei film tratti dalle opere di Shakespeare ed ecco che avrete la versione di Carlei. Non che questo Romeo e Giulietta sia stato un completo disastro, per carità.

A livello di regia, ma soprattutto di fotografia, il film è infatti da considerarsi come un piccolo capolavoro. È una vera e propria opera d’arte azzarderei. All’arte infatti vi sono continui rimandi, con le pose degli attori come tanti tableaux-vivants che ricordano quando il Bacio di Francesco Hayez, quando (vedi la posa finale dei due innamorati oramai privi di vita nella cappella dei Capuleti) alla Pietà di Michelangelo. Il fatto è che a parte la balia e quel Paul Giamatti che riuscirebbe a dare una prova attoriale magistrale anche interpretando uno dei Teletubbies (qui interpretava comunque il frate don Lorenzo; eh lo so, che volete farci, anche io ce lo avrei visto meglio nei panni di Romeo), il resto del cast ha dato una prova abbastanza bassa e deboluccia di recitazione. Prima fra tutti lei, quella che dopo aver visto la sua straordinaria interpretazione offertaci ne “Il Grinta” dei fratelli Cohen, non pensavi minimamente possibile recitare così male nei panni di Giulietta, ossia Hailee Steinfeld. Sarà che le storie d’amore alla giovane attrice non andranno a genio; meglio allora cappelli da cowboy e fucili a questo punto per vederla ancora volare in alto e recitare così bene come lei sa fare. Vola basso anche Douglas Booth nei panni di Romeo, bello per carità, ma ancora troppo acerbo per regalarci gradi interpretazioni. Speriamo che in Noah a fianco di Russell Crowe gli vada meglio. Perfino Stellan Skarsgraad nei panni del principe di Verona pareva del tutto fuori luogo e non completamente nella parte. Insomma, se Carlei metteva la metà dell’impegno che ci ha messo per scegliere le giuste inquadrature e location, durante la scelta degli attori avrebbe anche spodestato che la versione di Zeffirelli tra le rivisitazioni migliori del classico Shakespeariano. Così non è stato, peccato.

Avrei voluto tanto parlarvi anche del nuovo film di Jonathan Demme “Fear of falling” tratto da una pièce di Ibsen (“Il costruttore Solness”). Il congiuntivo è d’obbligo, visto che, primi venti minuti a parte, un grande vuoto circonda questo film nella sfera dei miei ricordi. Ebbene sì, mi sono addormentata. Vuoi la difficoltà di stare dietro ad una storia fatta solo di dialoghi, vuoi l’ora e tutto il sonno da recuperare, fatto sta che per avere una recensione decente su questo film dovrete aspettare una sua uscita nelle sale italiane e almeno 3 tazze di buon caffè.
Anche questo festival per quanto mi riguarda si è concluso. Non rimane che aspettare che la prossima stagione dei festival ricominci. Io personalmente non vedo l’ora.

Elisa Torsiello per Radioeco