[RECENSIONE] M.I.A. – Matangi

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Brown girl, brown girl, turn your shit down,
You know America don’t wanna hear your sound.
(Boom Skit)

M.I.A. – MatangiM.I.A. è tornata più forte di prima, con un disco a cui giustamente ha dato il suo nome, che incidentalmente, un’acca in meno, condivide con una dea hindu, scoperta attraverso il potere associativo di Google, un dito media mudra puntato contro tutto e tutti. È M.I.A. alla massima potenza. Om.

Matangi è infatti un album incredibilmente denso, di suoni e ritmi, di contenuti e messaggi, di significati e significanti, dove tutto, ogni suono e ogni parola, sembra portatore di senso e intriso di riferimenti, e ogni cosa è il suo contrario. Si prenda come esempio Come Walk with Me. All’inizio sembrerebbe, per canto e musica, una canzone pop in piena regola, dove best friend rima inevitabilmente con to the end. A metà però impazzisce, dopo che M.I.A. ha alzato il volume del Mac e si è immortalata con Photo Booth – ulteriore allusione, dopo quella del titolo, al fatto che è la sua persona prima di tutto al centro di quest’opera – e le parole, che all’inizio apparivano così banali, risultano invece il loro opposto, ribaltando il canone delle mille canzoni che continuamente ci dicono di mettere le mani al cielo e di comportarci come se non ci importasse di nulla («you ain’t gotta shake it»; «you ain’t gonna throw your hands in the air»; «tonight we ain’t acting like we don’t care»). Alla fine l’ormai famoso M.I.A coming back with pow-ah pow-ah ricollega il presente al passato di un percorso artistico organico e omogeneo.

Only 1 U farebbe pensare per via del titolo a una delle solite banalità romantiche piene di luoghi comuni, invece il suo tema principale risiede nella rivendicazione dell’unicità dell’individuo nella società contemporanea («Making money is fine, but your life is one of a kind»). Y.A.L.A., che fa coppia con Double Bubble Trouble in un delirio reggae-dancehall-moombathon creato con l’assistenza del duo olandese The Partysquad, quando nella produzione del resto dell’album spiccano i nomi del sempre fedele Switch e del sempre promettente Hit-Boy, si prende gioco di tutta la “filosofia” YOLO dominante la scena musicale contemporanea, proprio nel momento in cui sembrano assunti alcuni dei suoi atteggiamenti. E colui che ne è considerato uno dei propagatori, Drake, viene altrove (Matangi) direttamente irriso («We started at the bottom but Drake gets alla the cerdits»), proprio quando il protégé The Weeknd viene manifestamente campionato in Exodus. Quest’ultima traccia è infine presente in doppia copia, dal momento che un’altra versione, non così diversa dalla prima, chiude l’album, segnata essenzialmente dal semplice cambio linguistico che da Exodus porta a Sexodus, ad ulteriore complicazione del gioco di richiami e rimandi.

A tutti coloro la vorrebbero intenta a sfornare una Paper Planes dopo l’altra, che la M.I.A. “pop” non la batte nessuno, la diretta interessata risponde quindi che possono allegramente andarsene al diavolo. Non perché le sue capacità di creare la più accattivante delle canzoni pop siano in alcun modo diminuite, no. Bad Girls, meravigliosa dopo mille ascolti come lo era, quasi due anni fa, dopo il primo, è lì a dimostrare che M.I.A. può ancora farti saltare in aria con un bang. È che semplicemente non vuole. Solo, preferisce riempirti il corpo di piombo, aumentando il piacere. Bring the Noize è scarna e minimale, ma viene giù come un assalto; è priva di melodie ma è al contempo memorabile; all’inferno del corpo principale segue una coda placida la cui bellezza è aumentata dal contrasto. Only 1 U è cinquantamila rumori disparati, ritmi che diventano scazzottate, voce trattata in mille modi, ma è assolutamente orecchiabile. Te ne accorgi quando ti ritrovi ad imitare tutto con la voce. So motherfucker now I’m stepping in-IN-IN-IN-N-N.

aTENTion, dai continui riferimenti jungle, vive invece del campione vocale TENT che si ripete in una serie infinita di parole che, più o meno perfettamente, lo contengono. Ed è proprio a furia della sua ripetizione che il messaggio della traccia è veicolato, più che attraverso il suo contenuto. «My exisTENTce is miliTENT / Cause my conTENT bangs like it’s poTENT» recitano alcuni versi che possono essere presi per sintetizzare l’intera esperienza musicale di M.I.A., la cui sola condizione di popstar engagée, continuamente discussa, è intrinsecamente politica.

Matangi, infatti, è anche la solita M.I.A. che, poiché ha cose che le stanno a cuore da dire, le deve dire per forze, e per questo infiltra i suoi messaggi politici e sociali dovunque e quando meno te l’aspetti, coz I got a reputation, got a got a reputation da difendere. È la M.I.A. che attacca i suoi detrattori, la cui schiera negli ultimi anni si è ingrandita a dismisura, e li annienta con un colpo di glottide. È insomma la M.I.A. che non teme rivali perché non c’è nessuno come lei: Look-alike, copycat / Doppelgänger, fraud / They ain’t got nothing on me / Now I’m getting bored (Matangi).

Nel compiere tutto questo, M.I.A. straordinariamente non tradisce, nelle parole o nella voce, alcun segno di turbamento, rabbia o frustrazione, nonostante tutta la critica negativa degli ultimi anni. Anzi la sua voce si erge leggera e irridente, come nella grandiosa Boom, resa dei conti finale ridotta al rango di skit per ragioni varie ma che non ha perso nulla della sua forza originaria. «There’s nothing that can touch me now / You can’t even break me down» canta M.I.A. in Come Walk with Me e questa è la sua più grande vittoria. Nel conseguente stato di imperturbabilità, che solo è del saggio, forse si può vedere la componente spirituale a cui l’album, dal punto di vista concettuale, sembra continuamente alludere e che certo non ci si poteva aspettare concretizzata in qualche improbabile musica celestiale ultramondana, perché del resto stiamo sempre parlando di M.I.A., mica del Dalai Lama o di Sai Baba (Karmageddon). Come dice lei stessa nella dolce Lights, quasi una ninna nanna in cui la sua voce è per gran parte meravigliosamente fuori registo, «I used to be a bad girl, now I’m even better».

Luca Amicone

Redazione musicale