I segni di esitazione sono le ferite che una persona si infligge quando non ha il coraggio di suicidarsi. Così, invece di porre fine alla sua sofferenza, la prolunga. In questo caso l’esitazione consiste nell’accantonare definitivamente un progetto dalla carriera tanto lunga quanto tribolata.

Nine Inch Nails @Woodstock ’94: una data storica per i NIN, nel quale si esibirono completamente sporchi di fango come segno di solidarietà verso il pubblico che aveva dovuto subire ore e ore di pioggia.
Trent Reznor è sempre stato un tipo schivo, introverso, incapace di essere felice. Ha tradotto in musica le frustrazioni e il nichilismo di cui la sua anima è imbevuta, e per questo ha dovuto affrontare processi creativi indicibilmente dolorosi. Porre se stesso al di fuori del proprio io, scrutarlo con disprezzo e gridare tutto ciò che la nostra coscienza non vorrebbe sentirsi dire. Non a caso la sua discografia è scandita da ampi intervalli di tempo: anni necessari a ricomporre ogni volta i pezzi della propria vita per poterla poi trafiggere nuovamente, in un altro modo, con un altro stile, con un diverso sadismo. Ha donato un cuore ad un genere fino a quel momento rumoroso ma arido di sentimenti umani. Attraverso i suoi drammi personali e la sua voce vulnerabile ha compiuto una sorta di Rivoluzione Industrial(e), sorretta da misantropia violenta e malinconia suicida. Senza però affossare definitivamente l’ascoltatore nell’oblio del gesto estremo, ma lasciando un’ultima, flebile possibilità. Notare bene: possibilità, non speranza. Questo disagio è stato incastonato nella storia della musica nel 1994, con l’uscita di The Downward Spiral, meraviglioso concept album sull’inadeguatezza dell’uomo nel mondo che lui stesso ha contribuito a rendere invivibile. Filosoficamente siamo dalle parti di Nietzsche.
L’indiscutibile spessore dell’arte di Trent Reznor poi trova un’inaspettata conferma 11 anni dopo (con buona pace di chi invece pensa a The Fragile, ottimo ma incompiuto), quando con With Teeth rielabora la propria struttura compositiva arrivando ad una perfezione stilistica distante dagli scenari malati e sordidi delle opere precedenti e per questo ancor più difficile da raggiungere.
La maggiore tranquillità (e la sobrietà) raggiunta a fine anni duemila ha leggermente disinnescato la potenza abrasiva delle composizioni targate Nine Inch Nails, che seppur mantenendo un livello qualitativo eccellente, cominciava a peccare di manierismo. Il primo ad accorgersene è stato proprio Reznor, per questo nel 2009 decide di congelare il progetto NIN per dedicarsi ad altro (nello specifico, riesce in un altro, ennesimo capolavoro: nel 2011 la colonna sonora di The Social Network viene giustamente premiata con l’Oscar, per poi essere usata ed abusata nei servizi dei vari talk show politici). Il side-project con la moglie Mariqueen Maandig e i fidati Atticus Ross e Rob Sheridan (How To Destroy Angels) lascia presagire un definitivo abbandono dei chiodi da nove pollici. E invece, inaspettatamente, la vena creativa si impossessa di nuovo del musicista di Mercer.
La prima frase cantata da Reznor è un perfetto simbolo della sua onestà intellettuale recalcitrante verso qualsiasi forma di autoindulgenza: “I’m just a copy of a copy of a copy”. Pochissime live drums, chitarrismi scorticanti quasi inesistenti (ad eccezione del primo singolo Came Back Haunted) e molti beat ipnotici.

La line-up del Tension Tour 2013 dei NIN: John Eustis, Ilan Rubin, Trent Reznor, Alessandro Cortini, Robin Finck.

Un estratto dell’artwork di Hesitation Marks. A 19 anni di distanza da The Downward Spiral, si è rinnovata la collaborazione con Russell Mills.
Disappointed, splendida nel suo cupo sgomento, è una gelida coperta che nel finale ci avvolge con una sezione di archi contaminata da melodie orientali. Uno dei punti più alti del disco. Prima del cantato seducente di Satellite (un richiamo ai temi paranoici del controllo dall’alto da parte di un’entità superiore, sublimati nella discografia NIN dall’elettronica spigolosa, e anticipatrice, di Year Zero, del 2007), c’è spazio anche per Everything, un breve concentrato di cori orecchiabili e riff alla Cure. Di facile ascolto, potrebbe far storcere il naso ai nostalgici di Broken (1992). A rialzare l’asticella ci pensa il meraviglioso esercizio di stile di Running: come mantenere lo stesso ritmo con la stessa melodia in un meccanismo perfetto di crescendo intrecciato sempre più coinvolgente ed ossessivo.
Hesitation Marks non contiene rivoluzioni sonore. Trent Reznor ha educato il suo pubblico a suon di scelte spiazzanti, non si è mai crogiolato nell’autocompiacimento. Ma stavolta la ragion d’essere di questo album consiste nel mostrarci la sostanza attuale di cui è fatto l’artista che l’ha composto. È qui, è ora. Non è una banalità. Non ci sono filtri tra l’opera e il suo autore. Non vuole stupire, ma sedurre, circuire, ammaliare. È il poeta che, non più maledetto, supera la fase apatica per tornare a scrivere con sorprendente sapienza. È il pittore con la ritrovata maestria. È lo scultore ormai completamente padrone dei propri mezzi. Con una riflessione finale (While I’m Still Here) essenziale ed irresistibile, dove forse per la prima volta in assoluto accetta il passare del tempo, il cambiamento, la vita per come è. Sipario.
Iacopo Galli
Redazione musicale
> Se ti sei perso la loro incendiaria esibizione al Mediolanum Forum di Milano del 28 agosto 2013, qui trovi il live report.