Il romanticismo prende vita al Teatro Verdi con Leonora Armellini

Maurice Ravel nelle mani di Leonora Armellini è uno degli incontri migliori che si può fare. C’è di sicuro una certa affinità simbolica tra Ravel e questo giovanissimo talento, almeno per quanto riguarda la partecipazione ai premi musicali. Ravel dopo aver composto gli Jeux d’eau, concorre per quattro edizioni di fila al Prix de Rome, il più prestigioso dei concorsi musicali per compositori in Francia, e in tutte le edizioni viene bocciato dalla commissione. Ciò scatenò uno scandalo notevole per l’epoca, in quanto Ravel era già amatissimo negli ambienti parigini, e quest’esclusione contribuì alla fama del compositore. Allo stesso modo la Armellini, ha raggiunto la notorietà a 18 anni, per “non” aver vinto il concorso Chopin di Varsavia. Suscitando lo scandalo del pubblico. Tuttavia la giuria le ha riconosciuto il premio speciale “Janina Nawrocka”, per l’eccezionale musicalità e la bellezza del suono, divenendo la beniamina del pubblico.

Eppure la pianista ventunenne di Padova non era in gran forma fisica lo scorso martedì sera al Teatro Verdi di Pisa per “I Concerti della Normale”. E forse forse ha giovato quell’indisposizione fisica a rendere meno “classici” i brani proposti in repertorio, e conferire loro piuttosto quel senso di preludio alla malinconia che trasuda dalle due Rapsodie op. 79 di Brahms che, con un fuori-programma, sono state poste in apertura del recital pianistico.

L’opera di Brahms possiede una complessità capace di mettere bene alla prova le capacità emotive e anche fisiche di Leonora: passiamo da pianismo energico e scultoreo a uno di tono intimistico e delicatamente sentimentale. Entrambe le rapsodie hanno due temi in contrasto tra loro, ma questo contrasto è accompagnato da vicendevoli richiami, e le pagine risultano in qualche modo debitrici della vivacità di Schumann. Molto bella la chiusa della seconda rapsodia, che lascia spazio a una limpida condivisione di sentimento tra la pianista e i margini di libertà concessi da Brahms.

1383657_10153391881230313_1953837184_nNotevole la prova dell’Armellini alle prese con Jeux d’eau, e quelle che al tempo di Ravel erano avvertite come dissonanze, ma che di fatto “bagnarono” di novità il Novecento della musica francese. Ravel con quest’opera aveva inaugurato un allargamento del concetto di consonanza, e non in via episodica, ma come tratto innovativo e costante dell’armonia. Lontani anni luce dai patetismi romantici, qui l’attenzione è rivolta alla sonorità: suoni leggeri e lungamente risonanti, suoni di campanellini, quasi imitazione perfetta della caduta di gocce, uso costante di pedali per rendere ancora più vaporoso l’uso dei registri alti.

Il lavoro di “suono” che Leonora compie con Ravel è magistrale. L’artificio ricercato, e un po’ malandrino, di Maurice Ravel continua con la sua Sonatina per pianoforte. Anche qui il compositore è ispirato al superamento del carattere percussivo dello strumento. E la mano dell’Armellini qui mi ricorda a distanza il calore dell’Argerich.

Al secondo tempo arriva Chopin, il repertorio prediletto di dell’Armellini. Il trittico propone la Polacca-Fantasia op.61, i due Notturni op.48, e l’Allegro de concert op.46. Della prima opera si ha già traccia in una lettera di Chopin alla famiglia del 12 dicembre 1845: dice che è “qualcosa non sa come chiamare”. E il dubbio sta nel fatto che quest’opera si discosta troppo nei ritmi e nelle strutture per essere chiamata solo “Polacca”. Ha infatti una forma sonata, pur con diverse licenze ed eccezioni. E’ un’opera di fine sostanza psicologica, non appesantita da pastoie politiche, quanto piuttosto una riflessione spirituale con punte di nostalgia sulla condizione della Polonia. I contemporanei non la capirono. Noi oggi invece la apprezziamo come una pagina geniale nelle mani giuste.

536920_10153391881445313_723708275_nI due Notturni, precedenti per composizione alla Polacca-Fantasia, rappresentano una delle vette della produzione di Chopin, e sicuramente tra le pagine più note al grande pubblico, ma qui affrontate con una passione per molti inedita, sostenendo la climax di emotività, che è riscontrabile nel primo dei due notturni.

Arriva poi l’Allegro de concert, il primo germoglio di un terzo concerto per pianoforte, di cui le parti orchestrali non sono mai state scritte, e neanche i successivi movimenti. Il pezzo, che ha ricevuto relativamente poca attenzione nei repertori delle sale da concerto e nelle registrazioni, non è particolarmente noto agli amanti della musica. Tuttavia è conosciuto dai musicisti per via delle difficoltà che presenta, perché l’orchestra viene affidata alla sola tastiera. Anche questa scelta, affrontata con sicurezza, conferma la bontà di questa performance per quanto segnata dall’influenza. Un applauso piuttosto prolungato del pubblico ha restituito l’entusiasmo con cui questa giovane interprete rende letteralmente “cosa viva” il pianismo romantico.

Giuseppe F. Pagano
(Redazione musicale)

Qui trovate tutte le foto del concerto scattate dalla nostra Michela Biagini