Vi ricordate Lezione Ventuno? Era la prima prova cinematografica di Baricco, dai toni un po’ leziosi e un po’ arroganti, tipici di uno scrittore contemporaneo che per farsi spazio nell’ottava arte si confronta con i miti della cultura occidentale, perdendo però miseramente la partita sul campo del ritmo narrativo. Si tratta di una pellicola interamente incentrata sulla Nona di Beethoven: il protagonista è il prof. Killroy, docente universitario arguto e anticonformista che si dedica alla distruzione critica di opere famose, e tra le sue lezioni dedica la numero 21 alla demolizione della Nona Sinfonia di Beethoven. La fictio cinematografica ha avuto il merito di far luce su un aspetto che molti non sanno di quella sera del 7 maggio 1824 a Vienna: la premiere della Nona fu un mezzo insuccesso. Non ci fu di certo il sold-out che la vulgata tramanda. Ma questo fu dovuto a problemi più organizzativi che strettamente artistici, forse anche all’epoca c’erano promoter improvvisati.
Che fosse un’opera rivoluzionaria non fu difficile però da comprendere, sia per i musicisti e compositori dell’epoca, sia per il pubblico. Le successive esecuzioni furono trionfali. La rivoluzione di quest’opera non sta soltanto nell’introduzione di voci e coro all’interno della struttura della “sinfonia”, ma nell’eterogeneità e semplicità dei singoli elementi che uniti creano un affresco unitario e organico di poderosa potenza espressiva. A chiarirlo è stato il Maestro Swann che, in una lezione tenuta alla Scuola Normale la sera prima dell’esecuzione della Nona al Verdi, ha illustrato alcuni sottotesti dell’opera, come l’accezione democratica e universale della Gioia, grazie all’inserimento di motivi turchi all’interno dell’episodio Alla Marcia dell’ultimo movimento Presto: tutti possono unirsi nella fratellanza universale della Gioia, pure il popolino che apprezza la musichetta suonata con triangoli e piatti.
Il quarto movimento, così “pop” e così snobbato dai musicisti, rappresenta in realtà l’apertura dell’artista al mondo, che si manifesta negli opposti polari del lirismo e della trivialità. I primi tre movimenti parlano invece dell’interiorità dell’artista, e forse per questo hanno oggi più presa sugli esecutori. Ma anche nei tre primi movimenti si può notare che, seppur ci sia stato un recupero degli accenti eroici della Terza, ci si trova comunque di fronte a novità formali significative: non solo l’inserimento di uno movimento Molto vivace prima dell’Adagio, ma anche il superamento dell’usuale schematismo dei due temi contrapposti, risolto con l’uso di più gruppi tematici accomunati tra loro dall’arpeggio degli accordi di re o di si bemolle.
Opera sopravvalutata? Neanche per sogno. Si tratta di un’opera grandiosa sia a livello concettuale sia a livello di tecnica compositiva, soprattutto se si pensa che è stata partorita da uno spirito sempre più chiuso nel suo silenzio. Non dimentichiamo, inoltre, che presenta numerose difficoltà d’esecuzione, molte delle quali interpretative. E se non fosse stato per Beethoven e per la sua geniale idea d’inserire un coro in una sinfonia, i versi di Schiller sarebbero stati dimenticati nel calderone delle opere più melense dell’Ottocento romantico.
La difficoltà che presenta all’esecuzione quest’opera è risaputa dai musicisti. Le difficoltà aumentano se a eseguire l’opera è un’orchestra con un organico ridotto. Il rischio è che il suono esca meno corposo, meno solenne. Tuttavia l’Orchestra da camera di Mantova e del Coro da camera “Ricercare Ensemble”, sotto la direzione di Umberto Benedetti Michelangeli, riescono a sfruttare bene la situazione, permettendo agli strumenti di ritagliarsi più margini d’individualità. L’autorevolezza quindi non manca all’esecuzione dell’orchestra, che anzi si è presa qualche libertà d’interpretazione, imprimendo un ritmo sostenuto al secondo e quarto movimento, e lavorando di fino con l’uso di sfumature e dinamiche. Forse la nostra postazione all’estrema destra del palco non ci ha fatto però percepire molto i violoncelli, e quindi per le prossime esecuzioni sceglieremo punti d’ascolto più centrali. Ottima anche l’interpretazione del coro, che non ha commesso sbavature anche nei momenti più energici, e si è mostrato capace di alzare veri e propri muri sonori senza essere schiacciato dall’orchestra.
Umberto Benedetti Michelangeli ha mostrato una direzione passionale, precisa, senza fronzoli. Una direzione di sostanza, che abbiamo letto sul suo volto, sudato e teso sin dal primo movimento. L’orchestra si è lasciata scolpire dal direttore, dai suoi gesti decisi, valorizzando tutta la tensione interna dell’opera. Non nego che mi piacerebbe vedere di nuovo Benedetti Michelangeli alla guida dell’Orchestra Regionale della Toscana.
Il pubblico pisano ha risposto bene a questa apertura dei Concerti della Normale, non solo in termini di partecipazione (sold-out al Verdi), ma anche in termini di apprezzamento. Benedetti Michelangeli e la sua orchestra sono stati infatti acclamanti da prolungati applausi.
Giuseppe F. Pagano
(Redazione musicale)
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