Sono trascorse diverse lune dalla fine del mondo, ve ne siete accorti?
Il mondo è ufficialmente finito il 21 dicembre scorso, preceduto da ingenti mobilitazioni volte all’amore libero e discinto in vista delle ultime ore di vita sull’orbe terracqueo.
Molto più probabilmente si deve rintracciare la fine del mondo più indietro, in eventi di portata molto più distruttiva della simbolica data profetizzata dai Maya, avvenimenti che di fatto hanno cambiato il corso della storia e che hanno arbitrariamente – nell’accezione storicistica del termine – determinato il suo svolgimento fino ai giorni nostri.
La fine del mondo è un’opera teatrale di un giovanissimo Jura Soyfer, morto in un campo di concentramento durante la Seconda Guerra Mondiale, vinto dalla banalità del male descritta da Anna Arendt, dall’odio razziale programmato e praticato nelle forme più aberranti.
Nel piccolo anfiteatro dell’Osservatorio Astronomico di Arcetri, la rappresentazione del commediografo ebreo ritrova attualizzazione grazie al lavoro delle compagnie Teatro Bo/Kanterstrasse/UTOPHIA/Tra cielo e terra, per la regia di Ciro Masella.
La storia prende avvio da un’inquietante presa di coscienza: qualcosa ha contaminato l’armonia degli astri nel cosmo, qualcosa devia dalla perfezione delle ellissi di Venere, Marte e Saturno, riuniti al cospetto del Sole per venire a capo di questo momentaneo smarrimento.
Con un decreto emergenziale che sospende le leggi della fisica – dispositivo che non può non ricordarci la facilità con cui alcune misure straordinarie invadono le nostre esistenze, colpevoli solo di essere soggette a piani imperscrutabili di ordine superiore – occorre provare a contattare la Terra, rea dell’inceppo.
Viene allora convocata la Luna, che svela la causa della crisi del pianeta Terra: la popolazione umana, vile guazzabuglio di cialtroni incapaci di rispettare le regole dell’universo.
Proprio mentre la bizzarra riunione di corpi celesti prova ad escogitare il modo di depurare la Terra dai suoi parassiti, si palesa la cometa Conrad, intenta ad avviarsi verso la Via Lattea.
In essa la congrega degli astri salvatori vede la Soluzione Finale: basterà dirottarla verso la Terra per provocare un’esplosione che farà scomparire la razza umana.
Confuse trasmissioni radio cominciano a diffondere la notizia che il destino del pianeta sia ormai segnato ed inizialmente i capi di Stato tendono a smentirla, per non seminare il panico; assistiamo ad un discorso di Hitler alla nazione mentre stringe la mano all’astrofisico di riferimento, che in realtà desidera dare l’allarme, ma si tira indietro per non corrompere la sua fama.
Se inizialmente la scelta più saggia sembra quella di gridare al falso per tranquillizzare i cittadini, poco dopo ci rendiamo conto del reale effetto che la fine del mondo scaturisce tra di essi: casalinghe dal parrucchiere che si interrogano su cosa indosseranno il giorno della fine per essere “cool”, un militare che viene assalito dalla fidanzata orgogliosissima delle operazioni in difesa del pianeta a cui l’uomo che ama parteciperà e alle quali seguirà il loro matrimonio, le compagnie assicurative che non esitano a promuovere formule di rendita sulla fine del mondo, delle quali tempestivamente si fidano zitelle ormai mature ed invidiose risparmiatrici.
Tutti i media informano dei benefici che ciascun Paese sta traendo dall’avvicinarsi dell’ultimo giorno del mondo: mercati in crescita, investimenti redditizi, rilancio dei consumi.
Se fossi stata nel musicista che ha accompagnato con chitarra e loop station tutta la rappresentazione, avrei scelto come sottofondo per questa sezione dello spettacolo Goodbye Blue Sky da The Wall dei Pink Floyd: la scena dell’opera cinematografica legata all’album in cui gli aerei sganciano tutti i simboli dell’impero capitalista e delle religioni ad inquinare il globo, pare accompagnare provvidenzialmente la perdita di coscienza di ciò che sta per accadere e ci descrive una società sottomessa al processo di accumulazione capitalista, alla logica del profitto.
Sebbene l’emerito astrofisico sia riuscito a trovare una soluzione per mettere in salvo l’umanità, ora tutti i referenti istituzionali contribuiscono alla divulgazione della fine del mondo. I cittadini inglesi spendono e spandono, la Francia intraprende una dispendiosa corsa agli armamenti, la Germania considera la teoria del salvataggio una follia, in Italia lo scienziato non viene neanche ricevuto a causa della chiusura dello sportello informativo.
Intanto un ciarlatano – capiamo il suo ruolo dalla maglia con raffigurato Beppe Grillo – prova a vendere Dully, il bottone che libera dalla frustrazione, indistruttibile ed efficace; vacilla la ratio del nostro uomo di scienza, così avvilito dai continui respingimenti.
L’astrofisico, mentre trascorre le ultime ore di vita del pianeta, fa degli incontri a dir poco singolari, ognuno dei quali simboleggia l’ostinazione della popolazione a non cambiare di una virgola la sua occupazione quotidiana, portando avanti ambizioni, vizi e malesseri come se nulla fosse: un gruppo di ragazzi insolenti compone un rap sulla fine del mondo, un ladro lo deruba essendo proprio quella l’unica attività che ha sempre portato avanti (e perché dovrebbe interromperla solo perché sta per finire il mondo?), addirittura a ventiquattr’ore dall’epilogo un innamorato abbandonato si avvia verso il fiume per suicidarsi e un vigile urbano rivendica la sua autorità.
Sullo schermo che costituisce la scenografia minimale dello spettacolo cominciano a susseguirsi due serie di immagini distinte: telegiornali oscurantisti che raccontano con che quiete sia vissuto questo momento cruciale dalla popolazione, mentre scorrono scene di guerrilla urbana, scontri con la polizia e altri abusi di potere ai quali siamo amaramente abituati.
Per il tipo di formazione ed educazione che ho ricevuto, questo è il momento dello spettacolo in cui per me si colloca l’esperienza della fine del mondo, nella prevaricazione delle istante popolari in nome della pace sociale, nel potere dello Stato che diventa strumento di violenza e di morte, nel venir meno della sicurezza, questo termine che tanto andrebbe per evitare che i meno accorti si lascino abbindolare da demagoghi razzisti pronti a imbracciare i fucili di fronte al dissenso.
Di fronte all’imminente catastrofe, l’astuzia di un gruppo di cittadini americani che hanno comprato la loro salvezza e si apprestano a salire sulla navicella progettata dal nostro astrofisico che li spedirà nello spazio, in attesa di poter tornare a ripopolare la Terra.
Poco prima del lancio, la lettera dello scienziato li ringrazia della gradita offerta in denaro con cui ha potuto vivere splendidamente i suoi ultimi giorni di vita e li informa che non ci sarà nessun salvataggio.
Di nuovo la piccola assemblea dei pianeti si riunisce, indignata per il mancato impatto della cometa Conrad: differentemente da Kurtz, il “cattivo” del romanzo di Joseph Conrad Cuore di tenebra, questa a conti fatti non ha constatato l’orrore dilagante sulla Terra, ma se ne è innamorata e l’ha risparmiata. Sulle note vagamente ironiche di What a Wonderful World gli attori si offrono agli applausi del pubblico, che dopo l’iniziale bubbolio dovuto al ritardo dello spettacolo, si dimostra sostanzialmente entusiasta.
Un dubbio a chiosare questa rappresentazione: troppo arduo avventurarsi nella messa in scena delle conseguenze dello scampato pericolo, nelle considerazioni a posteriori di giornali, governanti e cittadini? Probabilmente non una difficoltà, ma un’ovvietà: panta rei, ora e sempre, fino a un reale rivolgimento verso un altro mondo possibile.
Francesca Gabbriellini
>>> Qui tutte le foto della nostra Michela Biagini.