[RECENSIONE] Pet Shop Boys – Electric

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Electric è tutto ciò che volevo dai Pet Shop Boys e anche di più, è il loro migliore disco degli ultimi vent’anni e uno dei più mirati al dancefloor. Così in forma l’amabile Neil Tennant e il ritroso Chris Lowe non li si sentiva dagli anni ’90. Tutto merito di Stuart Price, il rinomato produttore con cui collaborano da tempo ma con cui non avevano ancora fatto un disco? Chi può saperlo. Nel dubbio direi di chiuderli tutti e tre in studio e buttare via la chiave, perché di album così ne vorrei a decine. Nel frattempo questo, uscito sotto la loro nuova etichetta appena fondata e graziosamente chiamata x2, è uno dei più belli dell’anno, se non il migliore. Per titolo, ovviamente, una sola parola e nove tracce per più di cinquanta minuti di incredibila musica. Sono i Pet Sop Boys, bellezza.

Axis

«Turn it on!». Parte subito imperioso Neil, dopo il languore sotto il sole californiano di Elysium, l’album dell’anno scorso, bello ma sottovalutato. Tutt’altra storia qui, dove si comincia già sudati e scatenati sulla pista. Un mostro techno dai suoni anni ’80 che innesca l’«electric energy» dell’album torcendo linee di synth e battendo col basso. Nei recessi bui si insinua la voce di Neil-demiurgo: «Turn it up / Feel the power».

Verso preferito: Power it up and turn it on.

Bolshy
Oh. Un titolo così adorabile come solo i loro. Bolshy è diminutivo di Bolshevik ed è anche usato per indicare una persona combattiva. Voci in russo fanno da controcanto a quella di Neil e incominciano un irresistibile pezzo house con tanto di piano meritevole di essere suonato da qui all’eternità in tutti i club e su tutte le spiagge di Ibiza. I ripetuti versi «There you are pretending you’re lonely / I don’t believe you don’t know you could own me» sono assolutamente deliziosi nel giocare sul concetto di proprietà. In mezzo c’è un lungo breakdown come non ne facevano da un pezzo. L’oh prima del ritornello basterebbe da solo a chiarire che, a sessant’anni, Neil non è mai stato più sexy di così. Aspettaci, bolscevico, che veniamo anche noi.

Verso preferito: Bolshy Bolshy Bolshy oh.

Love Is a Bourgeois Construct
Oh sì. La canzone perfetta, che in poco più di sei minuti condensa tutta l’essenza PSB. Dal punto di vista musicale riprende da una musica di Micheal Nyman composta per il film I misteri del giardino di Compton House (1982), a sua volta basata su un tema di King Arthur (1691), opera del compositore barocco Henry Purcell. Per il testo, invece, Neil prende l’idea dal romanzo di David Lodge Nice Work (1988, tradotto in italiano col titolo Ottimo lavoro, professore!) e racconta la storia di un rispettabile borghese che, abbandonato dalla moglie, manda al diavolo la borghesia, il cui nome viene letteralmente fatto a pezzi dal trattamento vocale, e i suoi valori, a cominciare dall’amore. Almeno fino a quando non ritorna («I’ve given up the bourgeoisie / Until you come back to me»). Che dire, è intelligente stupida ironica commovente profonda frivola, tutto nel giro delle stesso verso, perché, semplicemente, Neil può. Contiene pure un riferimento a Carl Marx e a Tony Benn come ai tempi di Che Guevara e Debussy che ballavano su un disco beat. E anche la parola Schodenfreude e cori maschili alla Go West. Meraviglia.

Versi preferiti: tutti.

Fluorescent
Davvero, perderei la testa per questa canzone. La solita vicenda di decadenza e intrighi notturni a cui i PSB ci hanno abituato è cantanta dall’ispirato Neil con voce quanto mai bassa e seducente e con un ritornello da paura. Il basso profondo, i synth analogici e soprattutto un ansimo femminile usato come beat rendono l’atmosfera oscura e presaga di sventure. Mezzanotte è l’ora degli affari.

Versi preferiti: I can’t deny you’ve made your mark / With the helicopters and the occasional oligarch.

Inside a Dream
Posta proprio a metà, è una solida traccia utile anche a riprendere il fiato prima del tuffo finale. Comincia con un organo elettronico e si muove tra campioni vocali frammentati e un sostanzioso beat 4/4. Neil cita The Land of Dreams di William Blake.

Versi preferiti: Wishes come true that should have been / Looks familiar, feels obscene.

The Last to Die
Ops, ci ricascano di nuovo. Come al solito prendono una canzone mille miglia lontana da loro e se ne appropriano come se l’avessero scritta e composta. E ovviamente la portano sulla cima dell’Olimpo pop. L’avevano fatto con Where the Streets Have No Name mandando in bestia Bono & co. – e solo per questo dovremmo ammirarli –, ora lo rifanno con Bruce Springsteen, rivisitato in chiave trance. La canzone, scritta da Springsteen per l’album Magic (2007) pensando alla guerra in Iraq, nelle mani dei PSB risulta meno rabbiosa ma molta più commovente. Il riff di chitarra è genialmente trasformato in un riff vocale. Sorprendente, come previsto.

Versi preferiti: We don’t measure the blood we’ve drawn anymore / We just stack the bodies outside the door.

Shouting in the Evening
La più corta e la più goduriosa di queste nuove canzoni. Ci danno dentro come matti e sembra che non si siano mai divertiti tanto. Mentre la testa ti salta in aria, senti solo la voce pesantemente modificata di Neil che dice: «What a feeling… Shouting in the evening», e quella di Chris che fa: «It feels so good». Poche parole che rendono tutto il senso di una canzone e di un album.

Verso preferito: What a feeling… Shouting in the evening.

Thursday [feat. Example]
Un’accoppiata improbabile ed esplosiva che, in qualità di estimatore del rap di Example, morivo dalla voglia di ascoltare. L’attesa è stata ripagata con una canzone da suonare tutti i giovedì della mia vita. Example non solo rappa ma canta pure, Chris pronuncia i giorni della settimana come diceva ah-ah-Armani in Paninaro (oh oh oh) e Neil invita qualcuno a restare da lui e a cominciare così il fine settimana con un giorno d’anticipo. Se vuoi, pure tutto l’anno, caro.

Verso preferito: Let’s start it tonight, babe.

Vocal

Non poteva esserci canzone di chiusura più degna, anche solo, o mio Dio, per quei synth. Un peana alla dance music, alla sua storia e al suo potere, e soprattutto a quanto le tracce cantate siano tutta un’altra cosa. Soprattuto se canta Neil. Un atto d’amore nei confronti di quella musica che il duo ha sempre abbracciato, vissuto e, perché no, anche influenzato dal giorno della loro fondazione: «I like the people / I like the song / This is my kind of music». Anche il nostro. Very.

Versi preferiti: Everything about tonight feels right and so young / And anything I wanna say out loud will be sung.

Luca Amicone

Redazione musicale

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