Non c’è dubbio, The Weight of your Love è un disco nato sotto il segno del numero 4: quarto album, dopo quattro anni di silenzio, di una band fondata da quattro fighetti che si conobbero a Birmingham nel duemilaquattro, i cui brani A Ton of Love e The Weight portano la lista dei singoli a quota 16 (che, si sa, è quattro per quattro). È uno scherzo? No, sono gli Editors, al ritorno dopo un periodo non facile e la dipartita del chitarrista Chris Urbanowicz.
Il gruppo britannico si mette a soppesare l’amore (tema non originalissimo, per usare un eufemismo) e canta di sensazioni perennemente in bilico pericoloso tra serenità e tormento interiore. L’amore porta gioie e dolori: già risentita.
Il powerful single A Ton of Love (già in radio da maggio) ha un ritmo sostenuto e un respiro profondo, pronto a spalancare i polmoni nel portentoso bridge che sorregge un ritornello liberatorio, dove Tom Smith si fa quasi (quasi) Bruce Springsteen.
Come nei lavori precedenti, le influenze musicali disseminate quà e là non sono certo criptiche: ma se agli esordi erano più presenti Joy Division e U2, e in seguito Depeche Mode e Arcade Fire, ora la scelta di ampliare il proprio bacino d’utenza porta gli Editors a confezionare canzoni come What Is This Thing Called Love, sprizzanti Colplay da tutti i pori.
L’apertura di The Weight è solenne, dall’incedere cupo e serioso, mentre Nothing fluttua piacevolmente in un duetto tra soli archi e voce, e argina bene il rischio di risultare stucchevole. Tom Smith e soci infatti non cadono mai nel barocco, ma anzi imprimono al disco un’atmosfera ariosa, favorita dalla totale assenza di scambi di batteria, che conferma gli innumerevoli accostamenti agli Interpol che la band subisce da sempre.
Il livello generale è buono, ma paradossalmente questo diventa un limite: gli Editors, una volta trovata la formuletta magica per comporre successi lontani dal trash in un pop truccato da new wave, tendono a ripetere sempre la stessa performance. Che porta ad un disco come già detto mediamente eccellente, ma composto di innumerevoli sfaccettature della stessa scultura, dove senza un attento ascolto si riesce persino a mal distinguere le singole tracce tra loro. Un album affetto dalla sindrome da hit. Tutti potenziali singoli, che finiscono col disinnescarsi a vicenda. Il fatto di prendersi troppo sul serio poi non giova di certo alla band di Birmingham.
Di fronte a opere come questa viene da pensare come l’era digitale, che ci permette di scaricare praticamente laqualsiasi, di andare in fior da fiore, di assaggiare tutto e di gustarsi quasi nulla, sia apertamente in contrasto con il concetto di album in sé. Tra l’inizio e la fine del disco non si ha la sensazione di essere arrivati da un punto all’altro, di essere passati attraverso un filtro emozionale che ci abbia dato almeno l’illusione di essere cambiati interiormente. Alla fine di The Weight of Your Love siamo sempre lì, ai nastri di partenza, compiaciuti per la gradevolezza delle melodie catchy ma ancora in attesa di essere trasportati altrove.
Iacopo Galli
Redazione musicale