Su e giù per la pellicola, con ago e filo, Fernando Meirelles cuce insieme più storie. I protagonisti delle vicende sono uomini e donne del tutto normali che hanno in comune tra loro un viaggio da fare, una scelta da compiere, un bivio dove svoltare o una strada dritta per ignorare quel bivio. Tra Parigi, Vienna, Londra, Bratislava e Denver (aeroporto) i loro destini s’intersecano casualmente dando origine a una fitta rete di scelte e decisioni a volte programmate altre volte accidentali.
Lo spettatore avrà modo di riflettere sul significato della “fortuna”, come l’avrebbe chiamata Machiavelli, circa cinquecento anni fa. La fatalità, il caso, l’occasione sono i veri protagonisti di questo puzzle semplice e complesso al contempo. Il pubblico si affaccia sopra i destini dei personaggi e ne osserva i risvolti: decisioni e scelte appaiono soggettivamente autonome e libere da ogni condizionamento, tuttavia, dal cielo privilegiato della platea, appare chiaro che, in realtà, ogni azione è strettamente legata e influenzata dalle scelte di altre persone, magari persino sconosciute.
Così per una serie di eventi del tutto imprevisti e inattesi, ogni personaggio influenza ed è influenzato dalla vita degli altri. Essere o non essere, amare e desiderare, irrimediabilmente sbagliare per poi ravvedersi, forse! Fiumi di probabilità in un mare crespo d’incertezze, tra gioie e dolori in ogni incontro giusto o sbagliato.
Jude Law, Anthony Hopkins, Rachel Weisz e il francese Jamel Debbouze sono tra i protagonisti di questa fitta trama.
Nel quotidiano, palcoscenico di queste storie, non c’è spazio per interpretazioni da “grand’attore” perciò le prestazioni si alleggeriscono e risultano celebri solo attraverso il tratto somatico. Elegante, morbida e fresca, quest’opera corale di Meirelles, senza troppe pretese, riesce a ritagliare il sorriso pensieroso dei suoi spettatori.
“A tutti noi capita di trovarci in relazioni che non ci saremmo mai aspettati, ma siamo solo uomini e facciamo molti errori” Anthony Hopkins.
360 è il titolo originale del film. Indica che la vita quotidiana è scandagliata a tutto tondo.
La traduzione snatura il senso affidato al titolo originale e rende il prodotto più “invitante”.
Un’amara consapevolezza avvilisce gli amanti del cinema: lo spettatore medio ha bisogno di essere “ingannato” e indotto a comprare il biglietto.
Federica Bello per Cinerubric