C’era una volta una coppia di fratelli molto litigiosi che nonostante tutto suonavano insieme. Mentre uno scriveva e suonava e sapeva fare tutto, l’altro era uno strafottente che si ostinava a comportarsi da strafottente. Il loro gruppo riscuoteva molto successo, finché un bel (?) giorno, dopo l’ennesimo litigio, i due bellicosi fratelli decisero di dividere le loro strade.
Si divisero così le due frange del famoso gruppo, non equamente bilanciate: 4/5 della formazione originale confluirono nel nuovo progetto di uno dei due. Del fratello bravo, direte voi. Invece no, di quello strafottente.
Così sono nati i Beady Eye, giunti (chi l’avrebbe mai detto?) al secondo album in tre anni.
Il sound è inevitabilmente quello di un ex paladino del britpop, ma c’è da dire che il fratello strafottente ha iniziato a fare quello che finora aveva visto fare agli altri: lavorare. Ed è riuscito a non confezionare una compilation di semplici outtakes del famoso gruppo. Dietro a tutti quei c’mon e all’immancabile tamburello c’è un’anima in BE vibrante e mai remissiva. Molto del merito va sicuramente alla produzione di quel genietto di Dave Sitek (Tv On The Radio, già alla produzione dell’ultimo YYYs, Mosquito), che regala all’album un’atmosfera meno piatta rispetto alle ultime produzioni dei fratelli litigiosi. Così se Face The Crowd sembra uscita dalle musiche di Velvet Goldmine, la ballata dedicata al fratello bravo Don’t Brother Me è suggestiva ed accogliente, quasi un inno alla tregua, senza mai cadere nella triste nostalgia.
Qualche traccia risulta trascurabile, ed è un po’ scoraggiante ritrovare quà e là la solita ripetizione finale del titolo, formula ormai tanto collaudata quanto ormai usurata. È un punto debole del disco, ma il fratello strafottente sembra non curarsene molto. È il suo modo per rivendicare con orgoglio le proprie radici. Si gode finalmente la totale leadership che ha sempre agognato, niente più 50-50 col chitarrista consanguineo (anche se molti direbbero 80-20). Ora è lui l’unico gallo nel pollaio.
E bisogna ammettere che ha contribuito non poco alla crescita di questo progetto nato sotto mille scetticismi. Ha aggiustato il tiro dopo un esordio (Different Gear, Still Speeding) eccessivamente legato alla bramosia di imitare gli ineguagliabili scarafaggi di Liverpool. Le influenze beatlesiane anche qui non mancano (stiamo pur sempre parlando di uno che ha chiamato il figlio Lennon), ma l’importante è ascoltare BE in totale assenza di pregiudizi. È molto difficile, ma solo così potremo assaporare in ogni sfumatura la vera caratura dei Beady Eye. Che non saranno i paladini del britpop vers. 2.0, ma hanno ancora qualcosa da dire.
A proposito di qualcosa da dire: la band si esibirà il 6 luglio al prossimo Pistoia Blues Festival (qui l’evento), e ci sarà anche Radioeco, che vi farà prontamente sapere tutto ciò a cui non avete potuto assistere. O magari non avete voluto. Noi ve lo racconteremo comunque.
Iacopo Galli
Redazione musicale