
Si è tenuto Pisa, nell’Aula Magna della Facoltà di Scienze, l’ultimo appuntamento dei “Dialoghi dell’Espresso”: una serie di incontri, a metà tra conferenza e dibattito, volti ad informare e coinvolgere la popolazione nella discussione sulle prospettive future dell’Italia.
Radioeco c’era e vi propone un breve riassunto di quanto è stato detto. Inoltre, QUI potete vedere il video integrale di tutto l’evento!
Proprio in virtù della sua antica e prestigiosa tradizione scientifica, a Pisa è giunto uno dei temi più sensibili e complessi: il futuro della ricerca e i suoi legami con lo sviluppo economico.
Per l’occasione sono intervenuti numerosi ed illustri ospiti: Piergiorgio Odifreddi, Margherita Hack, Renato Soru e Guido Tonelli, coordinati dalla giornalista dell’Espresso Daniela Minerva, dal suo direttore Bruno Manfellotto e dal rettore dell’Università di Pisa Massimo Augello.
Proprio Augello ha inaugurato l’evento, facendo una panoramica sui problemi, ma anche sui successi, degli atenei italiani: l’Università è poco finanziata e spesso presentata da giornalisti e politici come un “sacco bucato”, un pozzo in cui ulteriori investimenti verrebbero sprecati o mal spesi. Ma è proprio vero? Secondo il professor De Nicolao dell’Università di Pavia, di cui è stato proiettato un contributo video, niente affatto. Non solo i ricercatori italiani competono ai massimi livelli (secondi in Europa, ottavi nel mondo), ma riescono a farlo (seppur con difficoltà crescenti) con fondi assai minori dei loro colleghi esteri. “Io credo che le nostre università siano migliori di quelle di tanti altri Paesi e che l’immaginazione degli italiani sia una grande risorsa per la ricerca”, ha aggiunto l’astrofisica Margherita Hack, presente in videoconferenza.
Questo per mostrare come, volendo, l’Italia potrebbe fare della scienza uno dei motori del proprio rilancio: la tesi dell’Italia “troppo indietro per poter più competere con il resto del mondo” è insomma falsa, seppur ancora molto in voga.
Il problema essenziale, sostiene provocatoriamente Guido Tonelli (uno dei principali autori della scoperta del bosone di Higgs ad LHC), è che la maggioranza degli italiani è ignara dell’importanza pratica ed economica della ricerca di base. “Senza le più avanzate idee della fisica gli oggetti che oggi usiamo non funzionerebbero, ma è come se nessuno lo sapesse. […] Parte tutto dalla ricerca e da quelle domande che, mi permetto di dire, rasentano il filosofico”. Il punto è cruciale, e trova ampio consenso tra gli altri relatori: tutti sono esaltati dai progressi delle tecnologie che abbiamo intorno, come internet, i cellulari o il GPS, ma quanti sanno che senza l’astrusa (e, al tempo della sua scoperta, apparentemente inutile) Meccanica Quantistica non avremmo nessuno di questi ormai banali gadget tecnologici? In generale, sostiene anche Manfellotto, la scienza italiana non trova il minimo spazio nelle cronache quotidiane o nelle agende di governo, differentemente da quanto avviene all’estero. La ricerca viene trattata come un optional in sostanza, ma è sotto gli occhi di tutti che i paesi più forti e capaci di crescere sono quelli che hanno investito in essa. È questo forse il messaggio che più energicamente balza fuori dal “Dialogo” di giovedì: ricerca vuol dire Sapere ed accrescimento intellettuale, ma anche (e soprattutto) crescita, prosperità. In sostanza, sintetizza Tonelli, non è la ricerca ad avere bisogno d’aiuto, ma sono la società ed il paese ad avere necessità di più scienza.
Della necessità di un comparto economico tecnologico parla Renato Soru, fondatore di Tiscali e grande sostenitore della “via italiana al web”. L’Italia, sostiene Soru, è diventata un paese di consumatori passivi che non produce nulla di tutti quei prodotti che pure apprezza tanto. Il caso emblematico è quello dell’informatica: non produciamo antenne, cellulari, computer, né altri tipi di elettronica, ma ne siamo grandi fruitori. Negli ultimi vent’anni le innovazioni del web non hanno portato nemmeno un posto di lavoro in Italia, dove pure alcune di esse sono state sviluppate per la prima volta. Proprio per rimediare a questo egli parla delle iniziative intraprese da Tiscali in Sardegna, in collaborazione con l’università, per competere nel mercato dei servizi web.
Piergiorgio Odifreddi si concentra invece sulla necessità di riformare il sistema universitario. In particolare, bisogna rimediare alla chiusura delle Università italiane: un professore americano non ha problemi a passare da un istituto ad un altro se riceve un’offerta di lavoro, mentre in Italia la circolazione delle competenze è assai limitata. In particolare si deve cercare un’unificazione a livello nazionale e poi europeo. Odifreddi è poi tornato a sottolineare l’importanza di una classe dirigente che creda nella ricerca: oggi si tende a privilegiare la cosiddetta “ricerca applicata”, cioè quella tesa a dare piccoli progressi scientifici e tecnologici nel breve periodo. Ma la storia ci ricorda che sono sempre state le ricerche inizialmente “astratte” a portare i risultati più sconvolgenti: due casi sono emblematici in merito, e vengono ricordati da Soru ed Odifreddi. Internet anzitutto: la prima rete nasce infatti come “sottoprodotto” della Fisica delle particelle, quando per l’elaborazione dati degli acceleratori di particelle del CERN Tim Berners Lee decide di collegare tra loro i centri di calcolo di vari istituti. Ancora più singolare il caso di Harold Hardy, matematico inglese vissuto tra ‘800 e ‘900 e fermo sostenitore della ricerca pura, “fine a se stessa”: proprio a lui si devono i fondamenti delle teorie matematiche che oggi ci premettono l’uso di bancomat e transazioni sicure con crittografia. Due fra migliaia di esempi per far capire come quello nell’investigazione scientifica sia un investimento di lungo periodo che, se portato avanti convintamente, ripaga infinite volte il proprio prezzo.
Alberto Ciarrocchi per “The Scientist”