Drammaticità ed elasticità, queste due fondamentali capacità hanno richiesto le opere in programma martedì 26 marzo al Teatro Verdi. Una serata monografica su Beethoven, con l’esecuzione dell’Orchestra della Toscana, con la bacchetta di Daniel Kawka e il pianoforte del giovanissimo Chen Guang.
Prova assolutamente superata dall’ensamble toscana alle prese con l’Ouverture del Coriolano op. 62, il Concerto n.4 in sol maggiore per pianoforte e orchestra op. 58, e infine la Sinfonia n.6 in fa maggiore op.68, la cosiddetta Pastorale.
La prima parte, dedicate alle opere per pianoforte e orchestra, è stata breve ma piuttosto intensa. L’incipit affidato al Coriolano celebra tutta la drammaticità della composizione di Beethoven. Questa ouverture nasce in mezzo ai tumulti spirituali e compositivi che segnarono anche la nascita della Quinta Sinfonia. Siamo nel 1807, e Beethoven scrisse questa partitura come introduzione alla tragedia Coriolano di Heinrich Joseph von Collin. L’opera letteraria, se confrontata con la tragedia omonima di Shakespeare, non ha né la stessa statura né la stessa introspezione, e infatti Wagner sostenne con argomentazioni piuttosto fantasiose come l’opera di Beethoven nascesse piuttosto come accompagnamento dell’opera shakespereana.
La forzatura di Wagner è dovuta all’evidenza che la scrittura di Beethoven supera la compostezza classica di Von Collin, per arrivare a una soluzione che, in un lasso di tempo stringato (sette minuti di esecuzione), concentra una carica emotiva fortissima. All’irrequietudine del primo tema si contrappone il nobile lirismo del secondo in mi bemolle. Contrasti e conflitti drammatici di grande pregnanza poi prendono il sopravvento sino a concludersi sull’inciso tragico dell’inizio, trascolorato, prima di spegnersi definitivamente come una candela senz’aria, nel sinistro bagliore del registro grave degli archi.
Il Concerto n.4, di un paio d’anni anteriore al Coriolano, è stato composto tra li 1805 e il 1806 e segna una svolta innovativa con la quale Beethoven si allontana dal modello classico, ponendo le basi del concerto moderno per pianoforte e orchestra. La prima innovazione che salta all’orecchio, rispetto al tradizionale concerto settecentesco, è il pianoforte solo a segnare l’inizio del primo tempo, con un delicato tema di intonazione romantica, che viene subito ripreso dalla sola orchestra e condotto fino alla seconda idea.
La mano sicura del giovane Guang non tradisce nulla dello spirito di questa pagina, che per quanto nata a ridosso della Quinta Sinfonia e del Fidelio (e per alcuni versi stilisticamente vicina a queste opere), apre delle stanze che nelle Sinfonie non avrebbero avuto spazio: tuffi nell’intimismo più segreto, irregolarità di scansione ritmica, preziosità armoniche ancora inaudite ai primi dell’Ottocento, oltre a dettagli più tecnici, come le scale o i “passaggi” che il pianoforte sprigiona in misura inedita.
Il movimento Andante con moto risulta tra i momenti più belli ed emozionanti dell’esibizione di Guang e dell’orchestra toscana. Al termine delle due esecuzioni gli applausi a scena aperta danno il giusto tributo al talento del pianista cinese, che nelle due opere ha manifestato controllo del suono, nel solco della migliore tradizione interpretativa di queste celebri pagine. Forse solo nel Coriolano si è notato qualche “freno” di troppo del pianoforte rispetto all’orchestra nel primo e nell’ultimo momento, ma è probabile che ciò rientri nella personale visione d’opera dell’interprete.
Concluso il primo tempo, cambiamo postazione nell’emiciclo del teatro, spostandoci dall’estrema destra all’estrema sinistra, in modo da avere un sguardo migliore su tutta l’orchestra. Praticamente leggevamo lo spartito dei violoncelli. La postazione ci ha permesso di ascoltare la Pastorale quasi come membri dell’orchestra: un’esperienza di fruizione straordinaria.
La Pastorale rappresenta una celebrazione panteistica della presenza divina nella natura. La fase dell’ “eroismo” in lotta col destino è stata superata, perciò Beethoven ascende alla contemplazione religiosa della Natura, in cui afferma il suo senso divino. L’orchestra diretta da Kawka perciò si è accinta a quella che non è solo una sinfonia, ma anche un rito: il risveglio dei sentimenti sopiti, il tema del ruscello che scorre, l’allegra festa pastorale, l’irruzione del temporale e di nuovo i canti di gioia per celebrare la fine del temporale e la riconoscenza alla natura.
Oltre ai consueti archi, grandi protagonisti di quest’opera sono i fiati, con flauto, oboe e clarinetto a cui spetta il ruolo d’imitazione dei cinguettii, mentre ai tromboni, trombe e timpani spetta l’annuncio della tempesta. La Natura che entra nell’opera è sempre mediata dall’uomo, e rappresenta il tempio a cielo aperto che nel sentire umano trova il suo fulcro.
L’orchestra celebra questo rito con la ripetizione dei gesti e dei suoni pensati da Beethoven. Kawka, osservato di profilo, rivela una capacità di conduzione che va oltre il corpo, ma si affida anche allo sguardo. L’orchestra dipinge paesaggi sonori seguendo l’intento descrittivo impresso dalla sua direzione. Un lunghissimo applauso del Verdi ha premiato questo “rito”, confermando non solo le doti tecniche ma anche spirituali che quest’orchestra riesce a celebrare.
Vi ricordiamo che domani 9 aprile al Teatro Verdi, alle 21, sempre l’Orchestra della Toscana terrà un nuovo concerto con la direzione di Cristoph Poppen e il flauto di Michele Marasco. Il repertorio accoglierà opere di Mozart (tra cui l’imperdibile sinfonia Jupiter), Haydn e Martin.
Giuseppe F. Pagano
(foto dell’autore)
Redazione musicale